Oltre che fisicamente fastidioso e doloroso la vulvodinia è un disturbo complesso a livello psicologico in quanto ha importanti ripercussioni a livello sociale, interpersonale e psicosessuale. Vulvodinia: quali sono le implicazioni psicologiche di questo disturbo?La vulvodinia è un disturbo caratterizzato da dolore o bruciore localizzato a livello vulvare e talvolta vaginale senza che siano identificabili lesioni o segni che possano giustificarlo. La vulvodinia fa parte della categoria dei disturbi del dolore sessuale e la sensazione dolorosa può avere intensità variabile, fino a diventare invalidante per la donna. In base alle caratteristiche del disturbo ed alla sede in cui è localizzato si può parlare di vulvodinia come patologia che interessa la vulva in generale oppure di vestibolodinia che invece interessa il vestibolo vulvare ovvero quella parte dell’apparato genitale femminile che va dal clitoride fino all’ingresso vaginale. Le cause di insorgenza della vulvodinia possono essere diverse e tra queste rientrano l’uso eccessivo di antibiotici, le ricorrenti infezioni vaginali o vescicali o alcuni traumi. Oltre che da dolore e bruciore questa malattia è caratterizzata da difficoltà nei rapporti sessuali in assenza di segni visibili durante la visita ginecologica, infatti nella maggior parte dei casi la vulva ha un aspetto normale. Di questa condizione soffre una percentuale di donne compresa tra il 15% ed il 18% e pertanto non si tratta di un disturbo raro ma piuttosto di un problema che talvolta non viene preso in considerazione o viene addirittura non correttamente diagnosticato e trattato, causa anche il suo mancato riconoscimento da parte del Sistema Sanitario Nazionale. Sintomi della VulvodiniaPrincipali sintomi della vulvodinia sono il fastidio ed il dolore che può manifestarsi in diverse forme come senso di pesantezza, forti fitte, scariche elettriche, prurito o bruciore. Il dolore può essere localizzato oppure estendersi fino ad essere percepito in vagina, nella zona perianale o nell’addome. Le strategie per alleviare i sintomiIl dolore percepito può avere ripercussioni nella quotidianità della donna che soffre di vulvodinia al punto tale da crearle problemi quando si veste, dorme, rimane seduta per lunghi periodi, cammina o pratica attività sportiva. Ecco perché per alleviare le sensazioni tipiche di questo disturbo le donne possono adottare strategie ed accorgimenti quotidiani. Prima di tutto è bene prestare attenzione ai saponi intimi che si utilizzano, optando per quelli senza profumazione, e alla biancheria che deve essere in cotone e non troppo aderente. Per quanto riguarda l’attività sportiva è bene evitare sforzi eccessivi ma soprattutto non praticare alcuni sport. Fortemente sconsigliati sono l’equitazione, il ciclismo e lo spinning in quanto si tratta di attività che comprimono le terminazioni nervose dei genitali ed infiammano i tessuti; stesso discorso vale per la corsa praticata di frequente perché contribuisce ad aumentare il tono dei muscoli pelvici. Come viene diagnosticata la vulvodinia?Trattandosi di un disturbo dell’apparato genitale la diagnosi di vulvodinia deve essere fatta da un ginecologo che nel corso di una visita di controllo vi arriva soprattutto per esclusione di altre patologie. Non sempre è facile diagnosticare questo disturbo in quanto spesse volte non sono presenti evidenti segni clinici e la vulva appare normale. Per la diagnosi vanno considerate condizioni come il fastidio persistente che si accentua durante i rapporti sessuali, l’assenza di lesioni evidenti che facciano pensare ad altre patologie e l’esito positivo allo swab test, un test basato sull’utilizzo di un cotton-fioc con il quale viene esercitata una leggera pressione sulle parti interessate per capire se la paziente prova una sensazione di dolore e se questa risulta eccessiva rispetto allo stimolo. Vulvodinia: rapporti sessuali e condizioni psicologiche di chi ne soffreLa vuvlodinia è un disturbo piuttosto diffuso e molte donne si chiedono se sia possibile curarla. Presupposto da cui partire è che nella maggioranza dei casi non si risolve in maniera spontanea e per questo è importante che la donna segua un percorso. Durante i rapporti sessuali la donna può accusare un forte dolore causato dalla penetrazione e questo compromette la qualità della vita sessuale e di coppia inibendo il rapporto con il partner e facendo insorgere sensazioni di frustrazione ed inadeguatezza. Quando non si riesce a vivere serenamente la propria intimità per alcune donne viene a crearsi una situazione di disagio tale per cui hanno difficoltà a parlarne con gli altri e spesse volte anche con le stesso partner per la paura di non essere comprese o addirittura giudicate. Spesso al dolore si accompagna un calo del desiderio sessuale e molte donne tendono a colpevolizzarsi e ritenersi responsabili di ogni difficoltà di coppia. La diminuzione della libido è dovuta al timore di provare dolore ma molte volte la donna che vive questa condizione non riesce ad esprimere chiaramente ciò che prova.
Aspetti psicologici della vulvodinia e come trattarlaOltre che fisicamente fastidioso e doloroso la vulvodinia è un disturbo complesso a livello psicologico in quanto ha importanti ripercussioni a livello sociale, interpersonale e psicosessuale. Dopo un’accurata diagnosi medica o ginecologica è bene occuparsi del trattamento della vulvodinia tenendo presente che un unico specialista non basta perché la donna deve essere seguita da più specialisti tra cui un medico, un ginecologo specializzato nei disturbi del dolore sessuale e uno specialista che possa aiutarla ad affrontare tutto il vissuto psicologico legato alla vulvodinia, ovvero uno psicoterapeuta. Necessario è che il team multidisciplinare di specialisti elabori un piano di trattamento personalizzato creandolo sulla base della specifica condizione clinica della paziente e dei disturbi che manifesta. Ciascuna donna vive la condizione a proprio modo ed ha diverse percezioni e per questo è importante che lo specialista ascolti la paziente, capisca le convinzioni ed i conflitti interiori della donna, e solo successivamente elabori un piano di trattamento adeguato. Per poter pensare ad un intervento psicoterapeutico mirato è importante che il percorso sia preceduto da un’accurata diagnosi che serve anche per capire quali sono le possibili cause di insorgenza della vulvodinia. L’importanza di un percorso psicoterapeuticoIl presupposto per un valido e funzionale percorso psicoterapeutico è l’approccio multidisciplinare al problema. E’ importante creare delle condizioni in cui la paziente sia a suo agio e si senta pertanto libera di esprimere ciò che prova senza filtri. La maggior parte delle donne riportano allo specialista la loro condizione di insoddisfazione sessuale, perdita di desiderio, difficoltà nell’allontanare la sensazione di dolore durante il rapporto ma soprattutto incapacità di parlarne con gli altri. A questo si associa spesso un profondo senso di solitudine ed un notevole abbassamento dell’autostima. La percezione del dolore è spesse volte legata al rapporto che si ha con sé stessi e con il proprio corpo e per questo l’obiettivo dello psicoterapeuta deve essere quello di ascoltare la paziente e se possibile capire insieme a lei quali sono le migliori strategie da utilizzare. Tra i vari compiti dello psicoterapeuta c’è quello di capire il modo in cui la paziente si approccia alla vulvodinia e più in generale alla malattia. Fattori come l’educazione familiare, gli insegnamenti ricevuti durante l’infanzia o la personalità della paziente possono influenzare il suo modo di percepire il disturbo ed il suo grado di gravità. Ad ogni donna bisogna approcciarsi in modo differente partendo dalla consapevolezza che ciascuna ha il proprio grado di percezione del dolore, condizionato da fattori culturali o situazioni di vita pregresse come l’impossibilità di esprimere liberamente le proprie emozioni oppure un’età infantile caratterizzata da eccessive privazioni. E’ importante si tenga in considerazione l’esistenza di alcuni fattori di predisposizione alla vulvodinia quali un aborto, dei conflitti sessuali e relazionali, dei traumi sessuali o la familiarità a disfunzioni della sfera sessuale. Se la si analizza da un punto di vista psicofisiologico la vulvodinia è considerata una sindrome dolorosa ovvero un disturbo nel quale la sensazione di dolore provata dalla paziente è fortemente connessa ai suoi pensieri ed alle sue emozioni. Alcuni fattori psicologici sarebbero in grado di creare una condizione di iperattività muscolare tale per cui la donna percepisce un dolore fisico. E’ qui che risiede l’importanza di un percorso psicoterapeutico che dia alla paziente l’opportunità di lavorare su traumi, paure e stati emotivi e passo dopo passo fare un cambiamento. ConclusioneLavorare sull’aspetto psicologico del disturbo oltre che su quello fisico attraverso l’utilizzo di cure farmacologiche è molto importante per trovare risposte e soluzioni a domande che non possono essere trattate con l’uso di farmaci. Ci sono esigenze, necessità e problematiche insite in ogni donna che devono essere necessariamente affrontate affinché le pazienti possano superare il problema e raggiungere uno stato di benessere.
Non è solo la vita sessuale ma anche l’impossibilità di compiere semplici azioni quotidiane a rendere difficile la quotidianità di una donna affetta da vulvodinia. Attraverso il dialogo e con il supporto dello psicoterapeuta ogni donna deve poter esprimere liberamente come si sente, quali sono le difficoltà che incontra ogni giorno, cosa pensa realmente della sua condizione, come la vive e come crede la vivano le persone che la circondano. Ansia, depressione, incertezze, senso di solitudine, apatia, rabbia, frustrazione e vergogna sono solo alcune delle sensazioni con cui molte donne affette da vulvodinia devono fare i conti ogni giorno ed è questo il motivo per cui dopo essersi rivolte ad un ginecologo è importante che ciascuna di loro trovi il coraggio di intraprendere un percorso psicologico per capire insieme ad uno specialista come affrontare il problema.
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Il rapporto tra un disturbo d’ansia e psicoterapia è stretto, in quanto la disciplina in questione consente di trovare la soluzione alle problematiche relative all’ansia. Queste si suddividono in differenti tipologie ed è bene approfondire le loro caratteristiche, per comprendere al meglio perché proprio le sedute psicoterapeutiche possono rappresentare la risoluzione per tali disturbi. Disturbo d'ansia nei giovaniRagazzi con disturbo d’ansia e psicoterapia: prima di tutto la definizione della disciplina e le indicazioni sui più comuni mezzi psicologici per la risoluzione delle problematiche in oggetto. Con l’espressione “disturbo d’ansia” è possibile indicare differenti problematiche, le quali possono essere risolte tramite sedute psicoterapeutiche. Al fine di comprendere al meglio lo stretto rapporto che sussiste tra i problemi di salute in oggetto e la disciplina della psicoterapia, in primis è necessario avere un quadro completo circa la definizione di quest’ultima. La stessa rientra nella cosiddetta “psicologia clinica”, tanto che viene considerata come una sorta di sua “sub-specializzazione” e come un insieme di cure che vengono messe in atto tramite mezzi psicologici, volti ad alleviare, lenire ed eliminare le sofferenze psichiche di un soggetto. Per la precisione, tale scienza si occupa di ricercare, valutare, svolgere diagnosi, terapie, prognosi, ma anche riabilitazioni circa tutti quei problemi che incidono sulla salute mentale di un determinato paziente e che possono quindi essere fonte di disagio o di ulteriori fattori negativi. Fondamentale per le cure è il dialogo tra psicoterapeuta e paziente, ma possono essere adoperati anche ulteriori mezzi, nel campo della psicoterapia, al fine di ritrovare una risoluzione per le casistiche che si presentano. Si può infatti anche investigare su quali siano le situazioni conflittuali presenti a livello emotivo e si possono analizzare le cause che hanno determinato le problematiche, ma non solo. Le alternative da poter mettere in atto sono varie e a seconda del problema di salute che il soggetto presenta, saranno utilizzate dal professionista, per trovare soluzioni adeguate. Per quanto riguarda i disturbi di ansia e psicoterapia, anche questi possono essere risolti tramite l’uso del dialogo, ma non solo. Il mezzo psicologico da poter sfruttare dipende anche dalla tipologia di disturbo. Per questo, è bene sottolineare quali sono quelli considerati come più comuni e qual è il loro rapporto con la disciplina in questione. Psicoterapia per il disturbo d'ansia socialeLa psicoterapia può essere la soluzione idonea per risolvere i disturbi di ansia, particolarmente frequenti nella porzione di popolazione rappresentata dagli adolescenti. Prima di tutto con la dicitura “disturbo di ansia” si indicano stati in cui si prova timore, preoccupazione, emozioni che possono trasformarsi anche in terrore e di conseguenza è possibile che vengano compromesse le normali funzionalità comportamentali dell’adolescente. È possibile poi che l’ansia si riversi anche sull’aspetto fisico, sviluppando quindi una sintomatologia come sudorazione, ma anche un’accelerazione del battito cardiaco, sensazione di mancanza di ossigeno, spasmi muscolari, tremolio. Non mancano ovviamente i sintomi che riguardano il lato psicologico, quali ad esempio problematiche relative al riposo e/o gastrointestinali, ma anche altre inerenti alla concentrazione o rabbia, sensazione di nervoso eccessivo. La principale fonte di cura è rappresentata proprio dalle terapie comportamentali, ma in alcuni casi anche da farmaci. In genere le problematiche collegate alla fascia di età adolescenziale e considerate come quelle abbastanza comuni sono le seguenti:
Prima di affrontare un’analisi circa le principali caratteristiche di ogni disturbo indicato e del suo rapporto con la psicoterapia, si deve sottolineare che l’ansia prima di tutto non deve essere confusa con lo stress o la paura. Per questo, un supporto garantito da un professionista può essere utile per distinguere i sintomi e trovare una soluzione.
Le problematiche e il rapporto con la psicoterapiaPer quanto riguarda la prima problematica indicata nel paragrafo precedente, tra l’altro molto comune negli adolescenti, la psicoterapia rappresenta una delle soluzioni più efficaci, come anche per gli altri disturbi di ansia citati. Il “GAD”, sigla che indica il disturbo d’ansia generalizzata, si mostra tramite sintomi che si riversano non solo sul lato psichico, ma anche su quello fisico e che non sono riconducibili a una causa specifica. Proprio per questo motivo, vi è l’aggettivo “generalizzata” nell’espressione. Chi presenta tale problema subisce anche i cosiddetti “attacchi”, ovvero uno o più momenti in cui il livello di ansia cresce di intensità. Chi soffre di questo disturbo si preoccupa spesso e in modo esagerato per diversi argomenti e in vari ambiti, praticamente per tutto, se il problema è cronico. Per risolvere tale problematica, molti ricercatori hanno sottolineato come la psicoterapia cognitiva comportamentale possa rappresentare una soluzione e possa apportare un miglioramento notevole (Westen D, Morrison K, 2001). Il disturbo da panico viene chiamato in questo modo perché è costituito dai cosiddetti “attacchi di panico”, che possono verificarsi anche all’interno di ulteriori disturbi di ansia, come ad esempio l’agorafobia, oppure no. In genere un attacco tende a durare all’incirca una ventina di minuti, ma tale indicazione varia a seconda dei soggetti, delle situazioni e dell’intensità della problematica. Anche in tal caso, la terapia comportamentale psicoterapeutica può essere la soluzione. La sintomatologia principale è rappresentata da eccessiva sudorazione, tremori, ma anche palpitazioni. Ovviamente si deve anche sottolineare che le tempistiche riguardo la cura avranno durata differente a seconda del paziente, anche perché ognuno può avere sintomi più o meno sviluppati di altre e soprattutto le cause che hanno originato il disturbo possono essere diverse. Sarà compito dell’esperto trovare la via migliore per far sì che il soggetto raggiunga il proprio benessere psicologico il prima possibile. Si è parlato poi di “agorafobia”, considerata come la paura degli spazi che si trovano in ambienti esterni, all’aperto e/o in cui è presente la folla. Il timore di solito si genera sia per la presenza di molte persone, sia per il fatto di non riuscire a individuare uno spazio per sé, delle uscite. Per questo, chi soffre di questo disturbo può avere anche il terrore di recarsi in qualsiasi luogo che sia considerato pubblico, anche i supermercati, ad esempio. Proprio le terapie comportamentali utilizzate nell’ambito della psicoterapia rappresentano la primaria soluzione per l’agorafobia, per la quale in genere non si adoperano invece cure farmacologiche. Il disturbo d’ansia da separazione invece è molto più frequente nei bambini, piuttosto che negli adolescenti e anche in tal caso, le sedute di psicoterapia comportamentale possono essere efficaci. La denominazione della problematica permette di intuire quale sia l’oggetto della paura in questione: il timore della separazione da una figura di riferimento, che generalmente è rappresentata dalla mamma, ma può essere anche un’altra persona. La terapia comportamentale che in questo caso viene adoperata si basa soprattutto su esercizi di separazioni regolari, che possano abituare il soggetto a non vivere situazioni di questo tipo in modo tragico. Durante le sedute ad esempio, che di solito tendono a coinvolgere anche altri membri della famiglia, si abituano i genitori a far durare il meno possibile i saluti. Il disturbo d’ansia sociale poi è un altro tipo di problema di ansia ed è particolarmente comune negli adolescenti. In più è rappresentato dal timore continuo di imbarazzarsi o di subire umiliazioni in determinati contesti sociali. Tra questi, senza dubbio vi è quello scolastico, in cui il soggetto può avere sempre la paura di sentire su di sé i giudizi degli altri. La psicoterapia qui presenta un ruolo fondamentale, in quanto consente di far capire all’adolescente che non può e non deve saltare le giornate scolastiche, comportamento che invece chi soffre della problematica in questione tende a mettere in atto. Riguardo i disturbi indicati poi si possono indiare ulteriori considerazioni. Ulteriori considerazioni sulle sedute di psicoterapiaIn tutti i disturbi elencati, si può evidenziare che le sedute di psicoterapia possono agire in due modi, uno che può essere definito “a breve termine” e l’altro che invece riversa i suoi effetti positivi in periodi di tempo molto più lunghi. Il primo riguarda il fatto che tramite la terapia in questione, i pazienti hanno modo di capire come affrontare la problematica e quindi imparano metodi utilissimi per risolvere il tutto, soprattutto quando l’ansia raggiunge momenti di massima intensità. Ciò comporta anche la possibilità di acquisire un maggiore controllo e quindi di ottenere nuovamente la sicurezza in se stessi e la possibilità di svolgere una vita serena. Per quanto riguarda l’effetto a lungo termine invece si può evidenziare come la psicoterapia possa eliminare proprio la causa principale che aveva generato il disturbo d’ansia, estinguendo quindi il problema alla radice. Ciò infatti non consentirà alla problematica di riformarsi e permetterà al paziente di diventare più sicuro non solo quando dovrà affrontare un attacco di panico o simili, ma in diversi momenti della sua vita. Tutto questo infatti permette alla persona di conoscere anche meglio se stessa e di gestire bene le sue reazioni emotive. ConclusioneConsiderando tutti gli aspetti indicati e il rapporto tra psicoterapia e disturbi di ansia negli adolescenti, è possibile quindi evidenziare come la disciplina in oggetto sia di fondamentale importanza per portare il soggetto a una maggiore consapevolezza di sé, delle proprie emozioni e della gestione delle sue problematiche comportamentali. Per questo, si consiglia sempre di affidarsi a professionisti, anche perché questi ultimi saranno in grado di trovare il giusto metodo e la cura adatta per aiutare la persona a uscire dal disturbo. Per maggiori informazioni contattami su [email protected] o 3355201126 Bibliografia
Ansia e Sessuologia : l’influenza della prima sulla secondaAnsia e sessuologia presentano un rapporto abbastanza stretto, in quanto molti disturbi collegati alla prima possono provocare disfunzioni sessuali, ma anche problematiche inerenti all’approccio sessuale, quindi al modo con cui si instaura una certa relazione sessuale. I problemi possono essere vari e molti sono causati soprattutto dal fatto di vivere situazioni post-traumatiche, in particolare quelle della pandemia e della guerra tra Russia e Ucraina, ancora in atto. Ansia e sessuologia: le definizioniRiflettere sul rapporto tra i disturbi di ansia e la sfera della sessuologia permette di aprire un discorso molto vasto, che comprende una serie di elementi differenti. Per comprenderli, prima di tutto è necessario fare una breve premessa sul secondo ambito, che non solo studia la sessualità in senso stretto, ma abbraccia diverse discipline, come quello della sociologia, antropologia, biologia. In genere infatti il sessuologo si occupa dello studio di tutte le problematiche collegate alla sessualità, nonché i comportamenti sessuali che vengono assunti dal paziente, e cerca di intervenire nel momento in cui si nota la comparsa di una o più disfunzionalità. Lo scopo delle cure e terapie è quello di permettere al soggetto di esprimere al meglio la propria vita sessuale. Chiarito tutto ciò, sarà più facile comprendere in che modo i disturbi di ansia possano ostacolare l’espressione dei propri comportamenti sessuali o provocare problemi a riguardo. Prima di tutto nel “disturbo di ansia” si possono comprendere quello generalizzato, gli attacchi di panico e i disturbi da panico, i disturbi fobici specifici. Tali problematiche salutari si possono diagnosticare a tutti quei soggetti che subiscono esperienze traumatiche o stressanti, ma non solo. Le cause dell’ansia infatti possono derivare anche da fattori genetici, da una patologica fisica e da un certo tipo di sviluppo psicologico. Indipendentemente dalla causa, le persone affette potrebbero poi riscontrare problemi anche nella loro sfera sessuale. A quanto pare, sembrerebbe che i soggetti ansiosi con maggiori disturbi collegati alla sessuologia siano coloro che abbiano vissuto situazioni con un elevato livello di stress. Tra queste ultime si può comprendere anche la pandemia, considerata appunto dall’intero globo come “trauma”, in particolare agli inizi del suo sviluppo. Secondo diversi studiosi, in più le problematiche relative all’ansia possono riguardare non solo soggetti che in modo diretto subiscono eventi traumatici, ma anche coloro che devono viverli in modo indiretto (Cozzi, 2013). Proprio queste due categorie potrebbero presentare maggiormente dei disturbi collegati alla sessualità. Le problematiche : ansia sulla sfera sessualeLe problematiche che i disturbi di ansia possono causare sulla sfera sessuale sono diverse e la prima, indicata proprio come un fattore che può provocare una vera e propria disfunzione sessuale è quella del panico. Secondo gli studiosi, un paziente su quattro che abbia tale disturbo soffre di una vera e propria “avversione sessuale”. (Kaplan HS., 1988). L’ansia tra l’altro viene considerata come l’elemento primario che potrebbe compromettere l’eccitazione sessuale e questo potrebbe a sua volta indurre eiaculazione precoce oppure anche scarsa erezione negli uomini, ma anche per le donne potrebbero esserci problemi, come una ridotta lubrificazione. Da aggiungere alle problematiche citate anche altri elementi, tra cui la cosiddetta “ansia da prestazione”, che colpisce il soggetto quando si accorge di essere in una situazione di cui non conosce con certezza il risultato e prova una forte sensazione di paura e a volte anche angoscia, proprio perché teme di fare una brutta figura o di non raggiungere livelli soddisfacenti. Oltre all’ansia da prestazione però possono verificarsi anche altri problemi sempre collegati alla sessuologia. Negli ultimi periodi l’umanità ha subìto dei traumi molto consistenti, in primis con la diffusione del Covid. Proprio questo infatti ha provocato una sorta di paura nell’approcciarsi all’altro, anche dal punto di vista sessuale, non solo dal punto di vista sociale. Il fatto di continuare a stare chiusi in casa infatti ha fatto sì che molti soggetti si abituassero a vivere sempre più distanti dagli altri e questo, in aggiunta a una perenne incertezza per il futuro e a un timore costante per come si sarebbe sviluppata la situazione pandemica, ha portato anche tanti individui a soffrire dal punto di vista della sfera sessuale. L’ansia continua per questa problematica ha anche portato alcuni soggetti a ritenere di non riuscire a trovare un partner sessuale, proprio perché la socialità ha avuto una forte riduzione. Per questo, nel momento in cui poi vi sono state le riaperture, molti hanno riscontrato delle disfunzioni sessuali oppure proprio dei comportamenti legati alla sessuologia che hanno ritenuto come “non appartenenti a loro stessi, anomali”. Un altro evento che può far scatenare disturbi di ansia e di conseguenza anche problematiche sessuali su alcuni soggetti è la guerra in atto tra Russia e Ucraina.
Ansia e sessuologia: il disagio psicologico legato alla guerra Lo scatenarsi della guerra tra Russia e Ucraina e il costante timore che il conflitto possa evolversi in una battaglia mondiale, portano molti soggetti a vivere sempre con una sensazione di precarietà per il proprio futuro, nonché di angoscia, nel dubbio riguardo quello che accadrà. Di conseguenza tale situazione può sviluppare in certi individui tutti i sintomi del disturbo post-traumatico, collegato allo stress che si vive. Questo provoca un vero e proprio disagio psicologico, che si può riversare anche sulla sessuologia, non solo provocando le disfunzioni sessuali precedentemente citate, ma anche ingigantendo la voglia di ricercare un partner con cui condividere tale incertezza verso gli sviluppi futuri, le proprie paure e angoscia e trovar in lui/lei una sorta di rifugio. Dopo i mesi di chiusura collegati al Covid, molte persone infatti hanno sentito il bisogno di vivere maggiormente la loro vita sociale e di cercare un compagno o compagna, nonché vivere la loro sessualità. Oggi però la situazione incerta e per alcuni angosciante, provocata dalla guerra, spinge alcuni individui a rivivere in un clima di timore, che si ripercuote negativamente anche sulla sessuologia, sull’approccio con gli altri dal punto di vista sessuale e soprattutto sul proprio benessere. Per questo, ecco che in tal caso occorre trovare una soluzione. Disagio psicologico: come risolverloLa terapia psicoterapeuta può essere un’ottima soluzione per eliminare in modo definitivo il problema e per imparare ad affrontare traumi come quello della guerra in atto, ma non solo. Tale sistema infatti può essere utile a risolvere anche tutte quelle problematiche collegate all’ansia e che si riversano sulla sessualità, anche se la causa non dovesse coincidere con il fatto di vivere situazioni traumatiche. L’ideale infatti sarebbe rivolgersi a un professionista, per cercare di comprendere prima di tutto quali siano stati i fattori scatenanti dei disturbi di ansia e come questi ultimi incidano effettivamente sulla propria sfera sessuale. Solo un esperto infatti sarà in grado di consigliare la giusta cura e/o terapia al paziente e di condurre quest’ultimo alla guarigione completa, per far sì che egli possa vivere al meglio e sviluppare il suo benessere. Bibliografia
I disturbi della sfera sessuale rappresentano un’importante tematica nel campo della psicologia. Disfunzioni sessualiNonostante il vasto eco di tali disturbi sessuali nella popolazione di pazienti, esistono pochissimi dati riguardo all’epidemiologia precisa, data l’eterogeneità del disturbo, la variabilità nelle definizioni utilizzate per definirne l’entità, la variabilità nella popolazione (sia per quanto riguarda l’età, sia per quanto riguarda il genere) e, spesso, il pudore nel parlare liberamente di questo argomento. Quando si parla di disfunzioni sessuali si fa riferimento ad una impossibilità o ad una ridotta capacità di risposta sessuale in una o più fasi ciclo di risposta sessuale: desiderio, eccitazione, orgasmo e risoluzione. Una corretta vita sessuale può generare innumerevoli benefici a livello corporeo, tra qui il rilascio di endorfine. Tali sostanze, prodotte a compimento del rapporto sessuale, sono simili a sostanze più note come la morfina e l’eroina e danno un senso di appagamento e di soddisfazione. Si tratta di ansiolitici e rilassanti naturali che “spengono” momentaneamente il desiderio sessuale e favoriscono il senso di fedeltà ed attaccamento nei confronti del partner. Trattamento ipnotiche delle disfunzioni sessualiDiversi articoli riportano descrizioni estremamente interessanti di casi in cui soggetti che hanno intrapreso un percorso di ipnosi, anche per la prima volta, hanno potuto risolvere i loro problemi sessuali. In una ricerca condotta su un campione di 60 soggetti con problemi di erezione, è stato valutato l’effetto di due diversi tipi di medicina alternativa rispetto ad un trattamento placebo1. I soggetti sono stati divisi in tre gruppi: un primo gruppo, composto da 15 uomini, ha ricevuto un trattamento di agopuntura mentre un secondo gruppo, di 16 soggetti, ha ricevuto un trattamento di ipnosi standard (induzioni simili per tutti i soggetti). Questo trattamento consisteva in induzioni ipnotiche condotte inizialmente per tre giorni alla settimana ed in seguito una sola volta al mese fino ad interrompersi al sesto mese dall’inizio del trattamento. Infine, un terzo gruppo di 29 soggetti, ha ricevuto il trattamento placebo ed è stato suddiviso in due ulteriori sotto gruppi al fine di somministrare un placebo “orale”, composto da pillole (senza principio attivo) somministrate per un periodo di sei mesi ed un placebo per l’agopuntura dove gli aghi venivano inseriti in posti diversi (scorretti) dai classici punti di pressione. Tutti i soggetti sono stati intervistati periodicamente al fine di valutare l’effetto dei diversi trattamenti. I risultati hanno mostrato come il trattamento con ipnosi, rispetto agli altri due trattamenti (agopuntura e placebo) abbia portato, con maggiore frequenza (il 75% dei soggetti rispetto al 60% dei soggetti con agopuntura e circa il 45% dei soggetti del gruppo placebo), ad un miglioramento nei problemi di erezione.
L’approccio della nuova ipnosi nel trattamento dei disturbi sessualiIn un recente studio, è stata indagata l’efficacia delle tecniche di ipnosi facenti parte della cosiddetta “nuova ipnosi”nel trattamento dei disturbi sessuali. L’approccio della nuova ipnosi, costruito a partire dalle intuizioni di Milton Erickson, pone il paziente al centro della terapia ipnotica ed è più flessibile e meno legato a frasi ed induzioni standardizzate rispetto all’ipnosi classica. Nello studio menzionato, l’autore ricorda come, per i disturbi sessuali, le terapie che riescano a coinvolgere i processi immaginativi (la capacità del soggetto di costruire e farsi coinvolgere da immagini mentali) abbiano risultati più consistenti rispetto alle sole terapie cognitive. In un caso descritto nello studio, queste tecniche sono state utilizzate per trattare una situazione di disfunzione erettile. Con il giovane soggetto del trattamento sono state prima utilizzate induzioni per ridurre la tensione e solo dopo aver raggiunto un adeguato livello di rilassamento, sono state adottate tecniche di immaginazione e colorazione delle immagini mentali (una tecnica per cui le immagini mentali vengono modificate liberamente dal soggetto in stato di rilassamento profondo). Il coinvolgimento nelle immagini mentali da lui create è stato creato chiedendo di provare ad immaginare donne del suo passato con cui aveva avuto una relazione. Dopo poco meno di due mesi di questo trattamento, il soggetto è riuscito a trasformare la sua difficoltà dapprima in desiderio ed infine in eccitazione sessuale. Anche nel campo femminile si sono riscontrati vantaggi nell’utilizzo di tecniche ipnotiche in pazienti affette da vulvodinia, ovvero una condizione consistente in dolore più o meno intenso, generalizzato o localizzato nella regione vulvare a seguito di pressione o contatto. In uno studio del 2007, otto donne con vulvodinia sono state sottoposte a sei sessioni di ipnoterapia a seguito delle quali sono stati indagati diversi parametri tra cui: dolore riportato durante visite ginecologiche, soglia del dolore vestibolare e valutazioni riguardanti il dolore provato durante l’attività sessuale. I risultati hanno riportato una diminuzione nel dolore a seguito di visite ginecologiche, ed una diminuzione del dolore durante l’attività sessuale con conseguente aumento della soddisfazione e della vita sessuale in generale. ConclusioneNel complesso gli studi evidenziano come l’ipnosi possa essere un promettente trattamento per i disturbi sessuali sia maschili, come riportato dagli studio sulla disfunzione erettile, sia femminili, come emerso dai dati su pazienti con vulvodinia. Grazie alla psicoterapia e attraverso l’ipnosi aumento della soddisfazione e della vita sessuale in generale.
Cos'è l'endometriosi ?L'endometriosi è una patologia cronica che colpisce le donne durante l'età riproduttiva. Le donne con endometriosi possono sperimentare infertilità, dolore pelvico o entrambe le patologie. L'endometriosi si verifica quando il tessuto simile al rivestimento dell'utero (endometrio) cresce al di fuori dell'utero, in genere nella pelvi. Questo tessuto endometriale causa cambiamenti che possono portare a dolore e infertilità. Altri sintomi comuni sono affaticamento, sanguinamento mestruale, dispareunia e dismenorrea. Endometriosi: sintomi e conseguenze psicologicheI sintomi di endometriosi si presentano secondo diversi gradi di intensità. Il dolore, ad esempio, che è di fatto il sintomo più ricorrente, causa in una parte delle donne che sperimentano l’endometriosi una forte inibizione dell’eccitazione. Ciò può avere degli effetti sulla loro vita sessuale e sui rapporti con l’altro sesso. Non solo: il loro stato d’animo, unitamente all’ansia ed alla depressione che possono manifestarsi, rischia di minare la loro qualità di vita. Si potrebbero rendere necessarie cure chirurgiche invasive accompagnate da lunghe terapie farmacologiche le quali vanno a sommarsi all’incertezza sulla fertilità. Sfortunatamente ad oggi non abbiamo molti dati circa l’impatto dell’endometriosi sulla vita di coppia, essendo il fenomeno diventato oggetto di studio solo in tempi recenti. Endometriosi - sessualità e relazione di coppiaI primi riscontri risalgono al 2006 e 2007 quando due studi intenti ad investigare le reazioni dei partner maschili sono stati condotti da Butt e Chelsea e Fernandez. Sono emersi tre sintomi prevalenti, ovvero cattivo umore, senso di impotenza ed ansia. Per contro, alcuni partner hanno sostenuto che l’insorgere di tali sintomi non abbia avuto come conseguenza un indebolimento della relazione, tutt’altro, secondo i loro racconti la relazione si sarebbe rafforzata dal momento che questi avrebbero mostrato comprensione per la situazione sperimentata dalla loro partner femminile. Anni dopo, precisamente nel 2016, ha avuto luogo la prima ricerca atta a comparare i sintomi di donne con endometriosi e donne senza endometriosi risultanti dai rapporti sessuali con il proprio partner. Il verdetto ha indicato a chiare lettere che le donne affette da endometriosi riportavano sintomi decisamente peggiori quali, tra gli altri, maggiori dolori, dolori cronici più elevati, ansia e depressione. Per converso non sono state riscontrate problematiche significative nell’analisi del ruolo del partner maschile. Graf, l’esperto che ha condotto lo studio, ha rilevato un indice simile della funzione erettile in entrambi i gruppi. Lo studio di Graf però presentava un limite da non sottovalutare: includeva un campione di coppie la cui relazione era proseguita nonostante i problemi legati all’endometriosi ed escludeva invece quelle coppie che invece si erano separate. Studi successivi hanno in parte sconfessato l’indagine comparativa di Graf: secondo questi ultimi, l’impatto sul partner potrebbe essere ben più significativo e le conseguenze piuttosto gravi. Tra queste si annoverano la maniera in cui viene vissuta l’intimità, la propensione a creare famiglia fino ad uno scombussolamento delle carriere professionali. I partner maschili hanno inoltre sperimentato sintomi come rabbia e frustrazione, mentre le donne dispareunia, affaticamento ed un minore desiderio sessuale, oltre a sentirsi meno attraenti. Lo studio più recente (Hammerli et al, 2018) ha messo a confronto due gruppi ciascuno di 236 donne con e senza endometriosi, ed ha rivelato che sebbene la maggioranza di entrambi i gruppi era soddisfatta del rapporto con il proprio partner, tale maggioranza era più robusta nelle donne non affette da endometriosi. Lo studio poggiava sui questionari BISF (Brief Index of Sexual Functioning) e SHF (Sexual History Form). Gli studi in oggetto sottolineano come ad interrompere una relazione o a creare dissidi siano solitamente elementi come uno scarso dialogo, problemi sessuali o la decisione di evitare tali rapporti. Inoltre, la dispareunia non viene rilevata come la sola causa della disfunzione sessuale nelle donne affette da endometriosi. Una prima misura atta ad iniziare il trattamento delle donne aventi una disfunzione sessuale legata all’endometriosi è la riduzione del dolore alla penetrazione. Per fare ciò alcuni consigli frequenti sono quelli di utilizzare lubrificanti vaginali, effettuare terapie mediche e chirurgiche e rettificare le tecniche sessuali.
Come far passare l'endometriosi?Vi è una correlazione tra il dolore che si prova nel corso del rapporto e la profondità della penetrazione. Ciò è dovuto all’ubicazione dell’endometriosi che si trova solitamente sui legamenti utero-sacrali e nello strato di tessuti tra vagina e retto. Come soluzione vengono suggerite alcune posizioni quali, ad esempio, la cosiddetta altalena, con l’uomo sdraiato a testa in su e la donna sopra mentre gli da le spalle. Un’alternativa può essere anche la manovra di ponte. Essendo però le casistiche svariate per via della complessità della patologia risulta fondamentale, al fine di comprendere quale sia il trattamento ad hoc più indicato, affidarsi ad esperti di settori tra loro interrelati. Si tratta di approcci combinati aventi come obiettivo principale proteggere la salute e la felicità della coppia, oltre a prevenire l’apparizione dei sintomi precedentemente analizzati. Ad ogni modo gli studi condotti hanno portato a galla la necessità di approfondire alcuni aspetti finora inesplorati, come ad esempio le dinamiche che si innestano nelle coppie omosessuali femminili. Puoi venirmi a trovare a Spazioorbita in Viale Premuda 10, Milano.
Contattami via email [email protected] Una questione spesso sottovalutata è quella relativa agli effetti delle droghe leggere, in particolar modo della marijuana. Gli effetti della marijuana sulla salute mentaleEssendo diventata legale nel corso dei decenni in diverse nazioni occidentali – l’ultima in ordine di tempo ad approvare una legge in merito è stata la Germania – ed essendo il tema dibattuto anche al di fuori dell’ambito medico-sanitario, si è fatta strada l’idea che la cannabis non provochi dipendenza e conseguentemente vengono sottovalutate alcune criticità segnalate invece dagli esperti. La cannabis è in Italia e non la sostanza illecita più frequentemente consumata, questo, almeno, emerge dai dati dell’Osservatorio europeo delle droghe e delle dipendenze secondo il quale quasi il 30% degli italiani maggiorenni ne ha fatto uso almeno una volta. Eppure, nonostante i sostenitori della legalizzazione delle droghe leggere facciano leva sui alcuni eventuali benefici derivanti dal consumo di marijuana, gli esperti evidenziano alcuni rischi non di poco conto che vengono solitamente suddivisi in due macro categorie: effetti a breve termine ed effetti a lungo termine.
Cannabis: gli effetti a breve e lungo termineGli effetti a breve termine sono quelli che tendono a verificarsi dopo un singolo consumo, o in ogni caso dopo un consumo occasionale, i quali dipendono dalla quantità della dose utilizzata, dalla modalità di somministrazione, dalle precedenti esperienze di consumo del fumatore, da un eventuale utilizzo concomitante di altre droghe o sostanze nocive per la salute e dal cosiddetto set and setting, che altro non è se non l’aspettativa che un consumatore ha circa gli effetti della sostanza. Possono inoltre influire anche lo stato d’animo del consumatore ed il contesto sociale all’interno del quale la sostanza viene consumata. In quest’ottica, utilizzo ed effetto avvengono in rapida successione. Gli effetti possono essere prevalentemente di due tipi: euforici e disforici. Gli aspetti euforici sono solitamente rilassanti, mentre quelli disforici tendono a produrre ansia ed attacchi di panico. Su alcuni soggetti, questi effetti possono acutizzarsi al punto da indurre i consumatori a ricercare un’assistenza medica. L’effetto più preoccupante a breve termine è, però, l’intossicazione causata da disturbi a livello di coscienza, cognizione, percezione, affetto o comportamento. Una volta ancora, l’intensità di questi effetti dipenderà da una serie di fattori quali la dose somministrata, la modalità di somministrazione, l’ambiente circostante e l’attitudine del consumatore. Vi sono poi gli effetti a lungo termine, principalmente legati ad un utilizzo regolare di cannabis. Per regolare si intende un utilizzo quotidiano e perpetrato solitamente da mesi o anni. Rispetto al consumo occasionale ed ai suoi relativi effetti a breve termine, l’intervallo di tempo che intercorre tra un utilizzo della sostanza che è divenuto regolare e gli effetti a lungo termine si dilata considerevolmente e può variare da anni a decenni. Possibili effetti sono la dipendenza – 1 adolescente su 6 tende a diventare dipendente – un deterioramento cognitivo, disturbi mentali quali psicosi, depressioni, ansia fino ad arrivare a comportamenti suicidi o in ogni caso nocivi per la salute. Possono verificarsi, oltre a delle crisi d’astinenza, anche degli effetti negativi sulla salute fisica quali malattie cardiovascolari, malattie polmonari ostruttive croniche e tumori respiratori o di altro tipo. Consumo di cannabis - conosci i rischi della marijuanaIn generale, soprattutto all’interno di un pubblico non esperto, vi è meno conoscenza degli effetti della cannabis rispetto a quelli che hanno l’alcol o il tabacco. Una delle motivazioni, possiamo supporre, è relativa al fatto che la battaglia circa la legalizzazione della cannabis è supportata anche da argomentazioni estranee al mondo della medicina e che riguardano alcune caratteristiche proprie della sostanza che gioverebbero a diversi settori quali, ad esempio, l’alimentare, il tessile, l’edilizia ed altri campi quali quello dei combustibili e della carta. Uno studio condotto dalla World Health Organization, oltretutto, rileva che un consumo regolare tende ad avere effetti più gravi sugli adolescenti piuttosto che su un pubblico adulto. Coloro- adolescenti e non – aventi disturbi psicotici possono vedere i loro sintomi esacerbarsi. Il riverbero degli effetti negativi inoltre tende a causare problematiche quali un abbandono precoce del percorso scolastico, un rischio di volere sperimentare altre droghe – anche più pesanti – ed un aumento dei sintomi depressivi. Ricerche recenti hanno portato alla luce anche una correlazione tra cancro ai testicoli ed un uso costante di cannabis, ma tali studi andranno corroborati da nuove evidenze. Se stai lottando con il disturbo da uso di cannabis, contattami a [email protected]
In questi ultimi tempi, soprattutto con l’avvento di Internet, il porno, coi suoi siti, è diventato uno dei settori più utilizzati al Mondo. Quando la pornografia diventa dipendenzaOgni giorno i materiali pornografici (video, foto, sex chat, videogiochi ed eccetera) vengono visionati da milioni di persone per procurarsi dell’auto-erotismo e quindi masturbarsi per raggiungere l’orgasmo. Tali materiali sono utilizzati da quasi tutte le fasce di età, maggiormente dagli adolescenti e dagli adulti fino ai 40 anni d’età circa; il pubblico è sia maschile che femminile, anche se quello maschile rappresenta la fetta maggiore di utilizzatori dei siti porno. Fin qui sembra tutto normale e si sa che la masturbazione, fatta in modo sano, è fisicamente, mentalmente e psicologicamente una fase molto importante per un individuo perché permette di conoscere al meglio il proprio corpo, i propri gusti e le proprie abitudini sessuali. Oltre che a migliorare la circolazione sanguigna, a migliorare il sonno, ad abbattere eventuali tensioni nervose e stress. Inoltre serve anche a rilassarsi grazie alla produzione di Ossitocina (un ormone di natura proteica), di Dopamina (un neurotrasmettitore a base proteica) e di Endorfine (altra tipologia di neurotrasmettitori). I neurotrasmettitori sono sostanze che permettono letteralmente il passaggio di informazioni tra i neuroni tramite la trasmissione sinaptica, similmente ad un circuito elettronico; quindi tramite le sinapsi che sono da considerare come dei “connettori” tra i vari neuroni. In queste sinapsi sono contenute delle vescicole che rilasciano i neurotrasmettitori dopo la ricezione di un impulso elettrico tramite il sistema nervoso che corrisponde ad una specifica sensazione e quindi far captare un determinare stimolo, che sia piacere, dolore, calore e così via. Quella che all’apparenza sembra semplice auto-erotismo racchiude in sé numerosissime variabili e processi chimici, biologici, fisici e psicologici; e se fatto con consapevolezza è estremamente benefico. Ma c’è un però. Data quindi l’elevatissima facilità di utilizzo dei siti pornografici ciò può comportare alla comparsa di una vera e propria dipendenza dal porno, con conseguenze talvolta anche gravi. Dipendenza dal pornoLa dipendenza dal porno è purtroppo in continuo aumento, aggravata anche dalla questione della COVID19, e porta i ragazzi a chiudersi in sé stessi e ad auto-isolarsi dal resto del Mondo. Forse tra le prime cause della dipendenza dal porno è in sé proprio la facilità di utilizzo di questi siti, infatti basta fare una rapida ricerca su Internet, cliccare sul sito che più attira e fare auto-erotismo sul video che si gradisce guardare. Questa facilità di utilizzo comporta una sorta di abitudine nel cervello che spesso e volentieri può addirittura sostituire un coito completo con la propria partner. Inoltre la produzione di quelle sostanze citate poco fa crea una vera e propria tossicodipendenza, infatti si raggiunge il piacere col minimo sforzo. Ovviamente la facilità di utilizzo dei siti pornografici è soltanto una concausa alla dipendenza dal porno; infatti è un insieme di motivi che provocano questa dipendenza. Tra le altre cause c’è sicuramente un fenomeno di scarsa autostima e di insoddisfazione personale che cerca uno sfogo (quasi di rabbia) o una “soddisfazione personale” proprio nella masturbazione, da citare anche eventuali problemi di anaffettività durante l’infanzia della persona affetta dalla dipendenza da porno (infatti il proprio subconscio cerca di “colmare dei vuoti di debolezza” tramite delle dipendenze), non vanno sottovalutati nemmeno dei possibili abusi subiti nell’infanzia (sessuali o non) dalla persona con tale dipendenza, da non escludere degli eventuali traumi, da valutare anche momenti di stress, di ansia e di tensione che potrebbero far inciampare in questa dipendenza (per ricercare invano ed in modo illusorio da parte del cervello un rilassamento che però fa più danni che presunti benefici) ed infine problemi interpersonali che possono essere di coppia, sociali o familiari. Queste sono le cause principali della dipendenza dal porno; ma come si manifesta invece rispetto ad un desiderio sano di auto-erotismo? Gli squilli d’allarme che possono dimostrare un inizio di dipendenza dal porno o una tale dipendenza a tutti gli effetti sono pochi ma importanti segni. Innanzitutto tra i primi segni d’allarme è il fatto di pensare continuamente a masturbarsi tramite del materiale pornografico e questa attività occupa la maggior parte delle ore e dei giorni, con rarissime pause mentali. In secondo luogo c’è la convinzione, errata, che la sessualità si basa esclusivamente su fattori fisici e non affettivi. Altro segnale di allarme è quello di calmare questo assiduo desiderio di pornografia raggiungendo esclusivamente l’orgasmo, ma tale calma è soltanto apparente e temporanea. Infatti, subito dopo il raggiungimento dell’orgasmo, la persona affetta dalla dipendenza dal porno, affronta una fase di umiliazione, di colpa e di vergogna; successivamente cerca di eliminare dalla mente questo desiderio, ma più cerca di farlo e più l’ossessione si presenta, non a caso questa dipendenza ha sembianze simili al Disturbo Ossessivo-Compulsivo (chiamato anche DOC) e ciò comporta ad avere anche delle vere e proprie “fissazioni” e dare vita a comportanti strani e/o ritualistici. Altra caratteristica di questa dipendenza è che la persona che ne è affetta cerca di minimizzare il problema e di nasconderlo a tutti; così facendo, però, l’ossessione diventa sempre più opprimente e ciò, nei casi più gravi, potrebbe sfociare addirittura in autolesionismo, disperazione nervosa, pensieri molesti e suicidio. Inoltre questa dipendenza porta ad arrivare ad annullare la sessualità reale, anche col proprio partner (quest’ultimo spesso e volentieri ignaro dell’origine del problema), visto che l’unica forma di erotismo capace di soddisfare chi ha la dipendenza dal porno è rappresentato proprio dall’auto-erotismo. Ma non solo. Si arriva anche ad isolarsi dal Mondo reale, ad avere difficoltà nell’approcciarsi con altre persone soprattutto del sesso opposto, a masturbarsi in modo ossessivo fino ad arrivare a decine di volte al giorno, a soffrire in modo grave di ansia, di depressione e di stress, ad avere problemi del sonno con conseguenti incubi, a soffrire di solitudine, a diminuire la soglia dell’attenzione con conseguenze anche gravi in ambito lavorativo, sociale, fisico e scolastico, a soffrire di nebbia mentale, ad essere molto più nervosi, a perdere la concentrazione mentale e tanto altro. La dipendenza dal porno, quindi, è un disturbo molto snervante per chi ne soffre, ma risulta allo stesso tempo anche piacevole perché si raggiunge una soddisfazione sessuale che però è insana. In poche parole il paziente si trova in una sorta di limbo che sembra impossibile da curare, perché è sia fastidio che piacere messi insieme e ricorda in tutto e per tutto una dipendenza alle sostanze stupefacenti. A soffrire di dipendenza dal porno può essere chiunque, senza distinzione di sesso, etnia, classe sociale e situazione sentimentale; infatti tale dipendenza può colpire sia chi è single che chi è fidanzato o sposato, in tal caso questo problema può nascere proprio da eventuali problemi di coppia. Si stima però che può colpire maggiormente gli adolescenti o durante gli anni appena successivi all’adolescenza. Tale problema è tuttora in continuo studio visto che esistono numerosissime dipendenze sessuali. Però ci sono delle buone notizie, la dipendenza dal porno, oltre ad essere abbastanza comune è anche curabile.
Come superare la dipendenza da pornografiaLa prima cosa da fare è parlare, perché soltanto parlandone può essere risolto, certo, è un problema che causa spesso e volentieri vergogna e quindi si preferisce non parlarne; però bisogna capire che parlando di un problema ne permette la sua risoluzione. Il primo passo è quindi parlarne con un bravo psicologo. Quest’ultimo cercherà di comprendere innanzitutto le cause scatenanti della dipendenza dal porno e successivamente capire insieme al paziente la strategia terapeutica migliore da utilizzare. Di norma si utilizzano delle tecniche di terapia cognitivo comportamentale; si cerca infatti prima di tutto di capire l’origine del problema e la storia del paziente e successivamente mettere in atto dei comportamenti sani da far adoperare al paziente quando si presentano momenti di debolezza per quanto riguarda la dipendenza dal porno. Si cerca infatti di sostituire quei pensieri opprimenti con altri più sani, curativi e benevoli, oltre che a svolgere attività varie per sostituire quella dipendenza. Così facendo il cervello inizia a capire che quei pensieri sono soltanto molesti e che la vita va vissuta anche facendo altro e quindi rendersi attivi. Non sono da sottovalutare, come forma di cura, anche delle tecniche di ipnosi, di rilassamento e di ipnosi regressiva. Ovviamente la guarigione dalla dipendenza dal porno richiede tempo e dedizione e va fatto un grande lavoro di psicoterapia seguendo in modo corretto il paziente nelle varie fasi; ma col giusto impegno, professionalità e volontà si può sconfiggere questa dipendenza. La parte fondamentale è sicuramente quella di capire che bisogna farsi aiutare e quindi parlarne senza alcuna vergogna perché simili problemi possono capitare e da tali vanno risolti. Si deve puntare anche sulla prevenzione, infatti è consigliabile che le famiglie, i partner, la scuola e le istituzioni educhino i ragazzi ad una corretta e sana sessualità. In questo modo si può affrontare il sesso con molta più coscienza. Sei preoccupato che il tuo uso del porno sia diventato una dipendenza? Non esitate a contattarmi a [email protected]
Il counseling psicologico per PMALo sviluppo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita ha implicato una riflessione profonda sulla necessità di un supporto emotivo alla condizione di infertilità ed agli eventuali trattamenti che ne conseguono, in modo da aumentare l’attenzione e la richiesta di interventi di counseling psicologico. Le linee guida del 2008 relative alla legge 40/2004 definiscono l’attività di consulenza e sostegno rivolta alla coppia un processo di comunicazione, riconosciuto di grande beneficio, correlato a ogni tipo di trattamento offerto, ed indicano ai centri di PMA di prevedere la possibilità di consulenza alla coppia e la possibilità di un supporto psicologico per la donna e le coppie che ne abbiano necessità, accessibile in tutte le fasi del trattamento, dalla diagnosi alla terapia fino al completamento del processo. Si pone dunque l’accento sulla necessità del counseling psicologico applicato lungo il continuum del percorso terapeutico: la procreazione rappresenta una tappa evolutiva fondamentale nell'acquisizione della propria identità psicosociale, sia individuale che di coppia e l'impossibilità di realizzare il desiderio profondo di avere un figlio investono sia i due partner presi singolarmente che la dinamica di coppia, in modo da rendere estremamente importante l’attivazione di un processo interpersonale, basato su una struttura teorica che possa portare a dei cambiamenti in modo sistematico e professionale. L’infertilità ed il trattamento medico connesso costituiscono un momento di crisi che pregiudica seriamente la stabilità della coppia. Mahlstedt sostiene come l'infertilità, oltre a turbare l’equilibrio fisiologico e psicologico, possa anche essere vista quale opportunità di crescita, purché il contesto di riferimento funga da supporto per la coppia, con il coinvolgimento della rete relazionale all’interno della quale la coppia è inserita ma anche e soprattutto di personale medico che possa rispondere e accompagnare efficacemente i soggetti lungo il percorso terapeutico, chiarendone gli aspetti procedurali ed esplorando costantemente i vissuti personali dei partner allo scopo di rilevare eventuali tratti psicopatologici e ridimensionarne la portata. Ai pazienti devono essere forniti strumenti validi per poter scoprire e delineare gli obiettivi che si intendono raggiungere al termine del trattamento, mediante la consapevolezza delle proprie necessità emotive e la sollecitazione di capacità decisionali che possano integrare le tecniche diagnostiche e riproduttive disponibili con la situazione di vita ed il bisogno di genitorialità. L’esperienza di stress che caratterizza a livello individuale e di coppia lo svolgersi del trattamento è determinata da fattori eterogenei quali la frustrazione delle aspettative genitoriali, le pressioni familiari e sociali e le percentuali di successo offerte dalle tecnologie riproduttive, con un’incidenza variabile rispetto a segmenti critici della sequenza terapeutica (procedure diagnostiche invasive, attesa dei risultati, fallimenti reiterati, conflitti decisionali, riformulazione del piano di intervento). In tale quadro, il supporto psicologico deve mirare al recupero delle risorse personali allo scopo di contrastare il disagio emotivo e fisico e stimolare strategie positive di gestione dello stress. Il ruolo del counseling, seppure integra le dimensioni dell’informazione, della consolazione e del conforto che interessano su un piano interdisciplinare l’insieme degli operatori che si occupano di infertilità, deve superare un’accezione marginale e passiva e spingersi all’attivazione di particolari capacità, conoscenze e competenze nella gestione degli aspetti reciproci, medici e psicologici, dei trattamenti e strutturarsi quale terapia psicologica adattiva di sostegno all’individuo ed alla coppia, compatibilmente con la peculiarità del percorso terapeutico che questi hanno intrapreso. Tra le specifiche modalità di intervento, il counseling psicosociale e la psicoterapia basata su un breve periodo sui sono dimostrati efficaci nella riduzione delle emozioni negative; anche il counseling svolto attraverso gruppi di supporto sembra offrire buone prospettive di successo. Risulta ad ogni modo importante la disponibilità del counseling in ogni fase dei trattamenti. Infine, il sostegno alla coppia infertile non può limitarsi a suggerire ai partner la condivisione delle emozioni ma deve includere fattori di ordine sociale e relazionale, nelle dinamiche interne come in quelle esterne alla coppia. L’amore e l’attrazione, o un contesto sociale rassicurante, non rappresentano una garanzia per la solidità della relazione: nel fronteggiare ostacoli fondamentali quali la condizione di infertilità, i partner devono poter padroneggiare abilità nuove che possano salvaguardare la stabilità coniugale. Psicoterapia come metodologia integrataAd oggi, non esiste dal punto di vista psicologico un protocollo d'intervento generalizzabile. Differenti modalità di intervento, depliant e video informativi, contatti telefonici e attraverso la rete, contatti in presenza, partecipazione a gruppi di supporto, counseling con focus su problematiche psicosociali o strutturati come sedute psicoterapeutiche, concorrono alla delineazione di un orizzonte di pratiche tra le quali le coppie infertili possano trovare strumenti di supporto efficaci alla gestione positiva dei vissuti negativi determinati dalla propria condizione. Tuttavia, nonostante la variabilità individuali nell’adattamento e nelle risposte emozionali all’infertilità, la necessità di affiancare all’intervento medico e tecnologico un supporto psicologico di pari importanza in ogni fase del programma appare imprescindibile. Se dal punto di vista medico, chirurgico e biologico il protocollo di procreazione medicalmente assistita segue metodiche e direttive internazionalmente applicate, altrettanto non può dirsi per il sostegno psicologico della coppia, sebbene sia fondamentale occuparsi del suo vissuto in relazione all'esperienza di PMA; adottando una finalità terapeutica e di prevenzione. Occorre dunque valorizzare l'importanza del colloquio come spazio psicologico, all'interno del quale la coppia possa incontrare comprensione, sostegno, contenimento ed ascolto. In tale ottica avviene il passaggio da un protocollo di PMA ad uno di PPMA (procreazione psico-medicalmente assistita), oppure di PMA + I, dove I sta per integrazione tra le varie figure professionali interessate. Il fuoco dell’attenzione resta la coppia ed il bisogno di genitorialità: il sostegno psicologico integra il percorso dalla diagnosi alla scelta dell’intervento alla valutazione degli esiti. L’integrazione del counseling nei trattamenti medici per l’infertilità incontra i bisogni del paziente, rispondendo a preoccupazioni ed ansie o indagando situazioni psicologiche a rischio, o anche sostenendone la compliance riguardo alle terapie laddove il protrarsi degli insuccessi abbia pregiudicato il funzionamento psicologico. Inoltre, la declinazione specifica delle singole modalità di intervento prevede uno spostamento nella pratica del counseling sugli aspetti preventivi, per l’organizzazione di un servizio rivolto alla procreazione assistita: dunque, le valutazioni psicologiche relative ad una sintomatologia già presente vanno incrociate con le implicazioni determinate da specifici trattamenti o da una specifica popolazione di pazienti, aumentando le richieste per un intervento supportivo sempre più specialistico. Tale orientamento si inserisce nel quadro del concetto di qualità della vita introdotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, per cui la definizione di uno stato di benessere fisico, mentale e sociale deve comprendere, accanto all’assenza di malattie e alla soddisfazione dei bisogni fondamentali, aspetti psicologici e relazionali generalmente trascurati nella lettura di uno stato di salute. Lo sviluppo della psicologia clinica ospedaliera opera in questo senso una funzione preziosa nella formazione del personale medico e paramedico e nel contatto con il paziente: l’ambiente medico si configura anche quale luogo del pensiero e dei vissuti per cui l’inclusione del trattamento di infertilità di coppia all’interno di un protocollo d’integrazione consente di analizzare l’esperienza dei soggetti coinvolti in uno scenario di conoscenze e tecniche professionali complementari coordinate da un impianto metodologico aperto, che garantisce una presa in carico totale del paziente ed un quadro analitico globale dei fattori individuali, ambientali, sociali e relazionali dei pazienti e degli operatori. I vantaggi derivanti da un protocollo così strutturato possono essere così sintetizzati:
Efficacia della psicoterapiaChiarito l'impatto che l'infertilità ha sugli equilibri della coppia e la conseguente crisi generalizzata prodotta sulla stessa, è ora possibile definire nel dettaglio l'efficacia dell'attività di counseling associata al percorso di PMA. Molti autori affermano che la percezione di se stessi come infertili ed i correlati processi di trattamento affrontati dalla coppia posso ripercuotersi sul funzionamento psicologico dei soggetti, con effetti deleteri sulle loro vite (Ugolini e Baldassarri). La letteratura identifica una serie di soggetti a rischio, che più di altre quindi necessitano di un supporto psicologico (Boivin): trattasi nello specifico di coloro che hanno già subito esperienze di grande stress (anche legate alla gravidanza, come ad esempio aborti o fallimenti precedenti), con problemi psicologici o predisposizione a patologie genetiche, o ancora persone per le quali la genitorialità rappresenta il nucleo centrale della vita adulta. Per contrastare la compromissione a livello sociale, sessuale e relazionale derivante dal profondo stato di stress ed ansia, tali individui attivano meccanismi di difesa immaturi ed orientati ad evitare il problema piuttosto che fronteggiarlo, ossia ad attivare il cosiddetto coping di fuga. Un'esplicazione classica di questo atteggiamento consiste nel cambiare diversi specialisti e centri di consultazione, basandosi sulla presunzione che cambiando centro e/o medico aumentino le possibilità di successo del percorso di PMA. In quest'ottica, quindi, è fondamentale che il team di psicologi fornisca ai soggetti infertili tutte le informazioni ed il supporto necessari affinché essi, piuttosto che attivare il coping di fuga, inneschino un meccanismo di difesa basato sull'intellettualizzazione che, secondo Anna Freud, permette di proteggere dal pericolo interno costituito dall'angoscia per i propri impulsi. Il meccanismo citato consiste nell'elaborare (o adeguarsi a) tesi e teorie che, in quanto razionali, sono condivisibili a livello collettivo. Come sottolineato da Link, l'infertilità non può essere trattata al pari di ogni altra “malattia”, sia in quanto investe l'essenza della femminilità e della mascolinità, sia a causa dell'invasività fisica e psicologica che accompagna il trattamento che può mettere in discussione l'immagine di sé e dar luogo a squilibri emozionali e psicosessuali. Detto questo, l'approccio interdisciplinare al percorso di PMA risulta imprescindibile, sia per ciò che riguarda la diagnosi che il trattamento. In tal senso molti critici e ricercatori sollecitano un approccio distico all'infertilità, in cui la consulenza psicologica rappresenti parte integrante dei programmi diagnostico-terapeutici. In questo contesto di riferimento la consulenza non si pone soltanto come contenimento dell'ansia e della frustrazione della coppia che arriva all'attenzione medica, né come risposta ultima dopo il fallimento dei trattamenti medici, bensì come uno strumento di diagnosi e mezzo di prevenzione delle disfunzioni psicologiche e psicosessuali (Link e Darling). Sebbene gli studi su quale sia la forma di consulenza più efficace nell'ambito dell'infertilità siano limitati e poco sistematici, l'esperienza clinica suggerisce alcuni obiettivi e funzioni dell'attività di counseling alle coppie infertili:
In sintesi, l'importanza dell'attività di counseling consiste nella creazione di uno spazio emotivo che permette l'accoglienza, l'ascolto, il contenimento ed il sostegno per la coppia che si sottopone alle tecniche di fecondazione assistita. Peculiarità della psicoterapia per le coppie infertili La consulenza nei percorsi di PMA si differenzia da altri tipi di psicoterapia per altri sintomi o disordini di ostetricia e ginecologia per diverse ragioni:
Obiettivo primario della psicoterapia risulta dunque esplorare, capire e risolvere i problemi derivanti dalla condizione di infertilità e dai relativi trattamenti. Affinché si possano ottenere questi risultati, è possibile attivare le seguenti procedure:
Principale responsabilità dello psicoterapeuta specializzato in PMA risulta essere la raccolta di informazioni sull'aspetto medico del trattamento, al fine di assistere i pazienti nell'attivazione del processo di decision making in merito alla strada più appropriata da seguire. Questo tipo di intervento permette ai pazienti di dare un senso unitario a tutte le informazioni raccolte, in modo da decidere il più serenamente possibile riguardo al trattamento o a soluzioni alternative (come ad esempio l’adozione). La psicoterapia di supporto si propone di offrire un sostegno emozionale ai pazienti che vivono un'esperienza di forte stress, dovuta alla frustrazione del desiderio di avere un bambino, alla pressione familiare e sociale, così come alla tecnologia riproduttiva impiegata ed alle sue relative percentuali di successo. In quest’ambito, acquistano particolare risalto le risorse che i pazienti padroneggiano nell’affrontare lo stress emozionale e fisico e nell’elaborare strategie di coping, soprattutto in previsione di sequenze altamente impegnative quali le fasi d’accertamento intensivo, i periodi d’attesa e di incertezza, gli eventuali fallimenti nella gravidanza, i conflitti decisionali nella gestione dei trattamenti e la risoluzione del percorso terapeutico. In molti casi può accadere naturalmente il passaggio progressivo da una consulenza di supporto ad una psicoterapia che attinge ad un repertorio consistente di modalità terapeutiche incentrate principalmente su:
Soggetti coinvoltiPer poter offrire una psicoterapia adeguata alle coppie infertili è indispensabile possedere abilità e competenze specifiche; gli psicoterapeuti quindi, devono avere sia una preparazione nella PMA che una profonda conoscenza degli aspetti fisici e psicosociali dell'infertilità. Un terapeuta indipendente può trasmettere alla coppia una maggiore fiducia e portare i partner ad aprirsi maggiormente, in quanto la consulenza viene vista come una sorta di spazio franco, avulso rispetto a quello condiviso con l'équipe medica. L’estensione dell’area di intervento dalla coppia all’intera rete sociale di riferimento suggerisce l’eventualità di assegnare un ruolo significativo alla psicologia nell’area clinica e terapeutica, nella formazione degli operatori e nella ricerca sperimentale, in modo da entrare a pieno titolo nella routine ospedaliera. L’intervento specialistico dovrà prendere in esame i vissuti della coppia riguardo all’esperienza di procreazione medicalmente assistita ed agire preventivamente nell’individuazione di dinamiche potenzialmente patogene, valorizzando il colloquio quale spazio psicologico all’interno del quale è possibile comprendere, gestire ed elaborare i profili emotivi dei pazienti. In una modalità di approccio integrato, gli obiettivi del colloquio, sul breve e sul lungo termine, appaiono il contenimento dell’impatto delle procedure mediche, la maturazione consapevole di aspettative realistiche, l’esplorazione di modalità relazionali e comportamentali che possano attenuare la condizione di sofferenza, oltre che la prospettiva di un percorso psicoterapeutico che non si esaurisce nell’immediato, bensì accompagna la coppia fino alla conclusione del trattamento medico. È possibile tracciare una prima modellizzazione sommaria di integrazione medico-psicologica esemplare durante un trattamento PMA. Un colloquio preliminare della coppia con il ginecologo del centro di procreazione assistita potrà rilevare la possibilità di una infecondità psicogena, la quale implica un intervento psicologico particolare che riporterà i pazienti nel protocollo ginecologico solo qualora questo si rivelasse insufficiente alla rimozione degli ostacoli al concepimento. Con l’avvio di un protocollo PMA, al termine degli esami di laboratorio e con la definizione del trattamento da eseguire, il ginecologo fornirà le informazioni relative al trattamento specifico e richiederà il consenso informato. Seguirà un intervento psicologico di ordine generale finalizzato alla valutazione di una serie di aspetti:
Sarà il team sanitario a valutare collegialmente la necessità di un intervento psicologico diretto anche in sala operatoria o al momento del pick-up o del trasferimento embrionale. L’efficacia di esperienze di sostegno personalizzato o di confronto in gruppo gestite secondo modelli analoghi permettono alla coppia di uscire dal senso di segretezza che altera in modo consistente i vissuti e le emozioni e di acquisire una consapevolezza maggiore della propria condizione. Definiti i soggetti adatti a prestare consulenza, è opportuno identificare i pazienti che necessitano della stessa. Seppur ogni individuo possa liberamente accedere alla consulenza professionale, la letteratura identifica in particolare tre gruppi di pazienti che hanno bisogno di una cura psicosociale specializzata, vale a dire:
Per tutti, gli obiettivi della terapia consistono nel consentire l’espressione delle emozioni, individuare i fattori che determinano la condizione di stress e predisporre interventi per minimizzare lo stress e stimolare adeguate strategie di coping. Nello specifico, è possibile delimitare una casistica di fattori di rischio:
Al fine di comprendere pienamente il contesto in cui si svolge il counseling, è necessario declinare attentamente la complessità di un trattamento che, data la specificità della tematica, spinge su un terreno instabile e roccioso, senza alcuna mappa e senza certezza di arrivare alla destinazione desiderata. Ogni intervento psicologico supportivo dovrà assumere caratteristiche a partire dai profili dei soggetti richiedenti. Per la donna, le esperienze psicologiche vissute durante la fase diagnostica e di trattamento o i postumi delle difficoltà nel raggiungere il concepimento rappresentano il crollo e la riformulazione delle aspettative genitoriali e producono una profonda ferita psichica. Il desiderio di avere un figlio poggia maggiormente su una istanza femminile, per cui la compromissione nella funzionalità riproduttiva implica l’annullamento di uno degli scopi principali dell’esistenza, l’impossibilità di esercitare appieno l’identità di genere, la crisi del proprio progetto di coppia, in modo da generare sentimenti di colpevolezza, autocommiserazione, inadeguatezza spesso associati a recriminazioni e rimpianti per eventuali mancanze o ritardi rintracciabili nelle esperienze passate. Sul piano psicanalitico, l’infertilità toglie alla donna la possibilità di riparare con la generatività un possibile fallimento di una relazione conflittuale con la madre e di riappropriarsi del proprio sviluppo infantile in fase adulta attraverso la gravidanza e l’accudimento del figlio. Inoltre, l’uso di tecniche di riproduzione assistita può essere vissuto come una ferita narcisistica alla femminilità, talvolta difficile da accettare. Fin dalle prime fasi dei contatti con le strutture per la procreazione assistita, le donne presentano un forte rischio per lo sviluppo di sintomi psicopatologici severi. L’interruzione del legame emotivo con il bambino fantasticato può avere ripercussioni negative sull’organizzazione psichica. Occorre prendere in considerazione, inoltre, il declino della funzione ovarica che caratterizza la vita riproduttiva femminile in un contesto di cambiamenti culturali, economici e sociali che spostano sensibilmente in avanti i tempi del primo concepimento, con l’attivazione si sentimenti di colpa anche laddove non venga registrata una eziologia organica legata all’età ma risultino comunque ridotte le probabilità di successo. La richiesta del sostegno psicologico appare in linea con le modalità preferite di coping caratteristiche del genere ed è generalmente influenzata dal livello di distress emotivo o da sintomi depressivi. L’intervento di counseling con la donna infertile dovrà essere orientato alla risoluzione di una condizione che si configura quale crisi all’interno di una crisi e che richiede un programma di sostegno finalizzato a:
Sebbene le richieste di sostegno provenienti da partner maschili siano meno frequenti, accade che le emozioni legate al senso di colpa, alla frustrazione, ai problemi coniugali, alla mancanza di confidenza inducano vissuti di ansia che possono portare all’accettazione di un aiuto di tipo psicologico. L’infertilità maschile innesca un disagio emotivo totalizzante che investe ogni aspetto della vita quotidiana, con reazioni negative legate a sentimenti di stigmatizzazione, di perdita, di auto-denigrazione. Le strategie di coping abituali fra gli uomini sono quelle di esitamento e di esclusione della propria rete di supporto sociale, di modo che la diagnosi di infertilità porta ad un isolamento maggiore rispetto ai corrispettivi femminili. La ricerca di strategia di adattamento compensative quali il lavoro o l’impegno incessante in attività sportive o i gruppi professionali devia l’attenzione dal problema specifico e genera nella relazione con la partner una divergenza di fondo rispetto all’obiettivo del concepimento che può arrecare una compromissione del funzionamento coniugale. Nell’intervento di supporto, occorre prestare particolare cura nell’indagare gli aspetti che riguardano il funzionamento sessuale: l’impatto negativo della diagnosi può comportare il manifestarsi di disfunzioni che pregiudicano il benessere psicologico della coppia. La stigmatizzazione sociale dell’infertilità maschile, inoltre, induce sentimenti di caduta della potenza sessuale e la lettura della propria condizione come deviante rispetto alla norma sociale: l’identità di ruolo appare decisamente in pericolo, maggiormente laddove in aggiunta alle cure e alle tecniche per ottenere il concepimento sia richiesto anche un intervento che coinvolge la salute mentale. Il counseling dovrà essere perciò orientato a:
La terapia di sostegno per la coppia infertile assume i connotati di una tecnica in cerca di teoria, poiché il modello di riferimento attraversa generalmente l’esperienza della donna e lo stress del partner per poi valutare le differenze di genere nelle risposte allo stress ed al counseling. La teoria della consulenza psicologica alla coppia infertile deriva da modelli di counseling individuale, con una particolare attenzione all’indagine dei meccanismi interattivi che agiscono nella coppia in quanto relazione diadica. Le linee di approfondimento comprendono il funzionamento coniugale, l’interesse reale per il figlio o l’imposizione delle tecniche ad uno dei partner. Si delinea un modello collaborativi di salute familiare che valorizzando l’importanza del paziente come cooperante nella diagnosi, nel trattamento e nel mantenimento dello stato di benessere, integra la presenza dello psicologo quale membro di un team multidisciplinare di trattamento e ridefinisce il profilo del paziente in un’ottica interpersonale. Occorre individuare preventivamente i fattori emotivi che possono ostacolare la gravidanza, a maggior ragione nelle situazioni di infertilità idiopatica. Quindi, l’intervento si volge all’attenuazione dello stress provocato dall’infertilità e dai trattamenti: in tal senso, approcci differenti puntano al rafforzamento del locus of control, al miglioramento del funzionamento sessuale e coniugale, alla diminuzione del disagio emotivo, a facilitare la comunicazione e i meccanismi di coping. Quanto ai vissuti di lutto e di perdita, le coppie manifestano modalità fasiche individuate dalla teoria degli stadi di sviluppo nell’affrontare la consulenza psicologica, passando dal conflitto dettato dalla consapevolezza della nuova condizione al coinvolgimento ed all’impegno intenso durante il trattamento, da un elevato distress emotivo al disimpegno entro il quale si cerca un nuovo equilibrio di coppia. Nella pratica del counseling rivolto alla coppia, Storey e Bradbury hanno rilevato profonde interazioni tra stress, coping e soddisfazione coniugale: entrano in gioco meccanismi di competizione per cui ciascuno dei partner avverte il bisogno di normalizzare il proprio livello di distress emotivo e nel contempo farsi carico dei bisogni emotivi dell’altro, curare la qualità della relazione coniugale e ottemperare alle esigenze poste dal trattamento. La consulenza psicologica permette di arginare il pericolo del disimpegno, del rifiuto, della negazione o dell’abbandono e favorire un impegno attivo per aumentare l’intimità coniugale e abbassare i livelli di tensione interna. Il lavoro di Peterson, Newton e Rosen insiste invece sul concetto di congruenza, vale a dire il senso di accordo percepito rispetto alla gravità dello stress provocato dall’infertilità. Ad ogni modo, la valutazione psicologica della coppia infertile integrata in un protocollo di procreazione assistita risulta di estrema importanza, oltre che per la riduzione delle emozioni negative individuali e per il miglioramento del funzionamento coniugale, per la strutturazione di un intervento che possa garantire:
Lo scopo principale di qualunque tipologia di intervento di cura è quello di assicurarsi che i pazienti comprendano a fondo le implicazioni delle proprie scelte relative al trattamento di PMA, che ricevano un adeguato sostegno emotivo e che possano far fronte in modo sano alle conseguenze dell’esperienza dell’infertilità. L’importanza del sostegno psicologico durante il percorso terapeutico è determinata dalla complessità delle risposte emotive, dalle ripercussioni sulla vita psichica e relazionale dei soggetti che vivono una condizione di infertilità e che interessano nello specifico:
Un programma di supporto integrato può aumentare i risultati positivi, la soddisfazione del paziente e del team sanitario, riducendo al contempo le reazioni psicologiche negative e accompagnando i soggetti lungo tutte le fasi del percorso psicologica:
La coppia infertile dovrebbe poter disporre di entrambe le tipologie di assistenza. L’assistenza centrata sul paziente può variare dal rispondere alle domande fino al supporto dopo eventi stressanti come un test di gravidanza negativo. Il team sanitario può aumentare il livello complessivo di cure centrate sul paziente fornendo altri servizi non professionali che possano risultare utili, come ad esempio informazioni fruibili autonomamente dai pazienti, sul servizio di counseling telefonico specifico per l’infertilità e l’attivazione di gruppi di auto-aiuto. Le cliniche dovrebbero operare un monitoraggio e garantire gli scambi comunicativi con i servizi di supporto psicologico telefonico e i gruppi di auto-aiuto, ed eventualmente contribuire al mantenimento di questi attraverso sponsorizzazioni o altre attività. Il sostegno psicologico ha lo scopo di rivolgersi alle necessità fuori dall’ordinario di alcuni pazienti, ricorrendo ad una terapia individuale o di coppia e/o a gruppi condotti da professionisti. I contenuti di tale servizio possono differenziarsi in funzione dei pazienti o del trattamento scelto, ma generalmente comportano le informazioni e le implicazioni del supporto terapeutico, relative alla consapevolezza dei pazienti riguardo alle problematiche psicologiche coinvolte nel trattamento scelto e alla comprensione delle conseguenze emotive dell’infertilità. Qualunque siano le modalità con cui venga messo in atto, resta un punto fermo l’imprescindibilità di un approccio integrato, che riconosca l’importanza del sostegno psicologico all’interno dei processi di PMA. Ma non sempre è possibile realizzare in modo agevole tali interventi nella routine clinica. Gli ambulatori ed i centri specialistici, tuttavia, sembrano mostrare un impegno tangibile nel superare l’ottica di un servizio erogatore di cure per prendersi cura in modo globale del paziente, contestualizzando la condizione di infertilità nel quadro affettivo e relazionale della coppia. Occorre comprendere a fondo i vissuti connessi all’infertilità sul versante personale, coniugale, familiare e sociale e strutturare programmi di intervento che possano prevenire le conseguenze psicosessuali dell’infertilità e favorire processi di adattamento all’iter diagnostico e terapeutico. Il fallimento naturale alla procreazione, determinato da fattori organici o psicologici, si associa inevitabilmente a conflitti e tensioni che investono la sfera sessuale e relazionale e di cui bisogna tenere conto per l’adeguatezza delle cure. In tal senso, l’efficacia del counseling interviene a comprendere e consolidare la qualità delle esperienze di pazienti ed operatori, in modo da influenzare positivamente le probabilità di riuscita dei trattamenti. Progettare un percorso psicologico multicentrico integratoL’opportunità di offrire, in linea con le disposizioni normative vigenti, un servizio di psicoterapia integrato che possa accompagnare le coppie che accedono ai trattamenti per l’infertilità durante l’intera sequenza clinica interroga sulla necessità di definire un impianto teorico tale da garantire requisiti di efficacia e adattabilità. La prospettiva multicentrica individua come motivo conduttore l’interesse per la storia ed i bisogni della coppia, e per l’aspettativa genitoriale nello specifico, attivando modalità di intervento personalizzate, fondate sul pregresso clinico e sulle caratteristiche particolari dei partner, e che possono variare in funzione dell’entità del disagio manifestato, della diagnosi clinica, dell’equilibrio di sistema coniugale. L’affiancamento di un percorso psicologico strutturato alla consultazione medica deve mirare alla valutazione ed al contenimento del disagio e attivare iniziative di sostegno in relazione alle problematiche specifiche dell’infertilità. Pertanto, la proposta di psicoterapia all’interno dei centri di riproduzione medicalmente assistita deve avere come finalità:
L’articolazione di un percorso psicologico integrato intreccia una relazione parallela e biunivoca con gli interventi clinici per la cura dell’infertilità e le tecniche di riproduzione assistita, tale da impedirne il posizionamento esclusivo nella fase iniziale di accertamento diagnostico: per usare una metafora, l’intervento clinico e l’intervento psicologico costituiscono i binari entro i quali può svolgersi compiutamente l’itinerario terapeutico, il lungo viaggio alla ricerca del bambino desiderato che la coppia attraversa col proprio bagaglio di risorse, emozioni, paure, speranze, dentro a un paesaggio in cui tutto sembra trasformarsi, assumere nuovi risvolti nell’avvicendarsi di luci ed ombre; nel corso di un tempo segnato da tappe significative, brusche battute d’arresto, soste di riflessione, frenetiche ripartenze. Un percorso nel quale il sostegno psicologico, dunque, dovrà comprendere la singolarità dei soggetti coinvolti, guidarli a scegliere ed operare consapevolmente, preservarne l’integrità emotiva, prevedere una riformulazione delle aspettative. Prima di partire - dove andare?Orientarsi con gli strumenti della psicologia : L’indagine preliminare sarà avviata con la raccolta di dati ed informazioni significative al fine di tracciare un profilo psicologico dettagliato dei singoli e delle dinamiche relazionali all’interno della coppia, attraverso un colloquio iniziale e la somministrazione di test psicologici (Fertility Problem Inventory, Hospital Anxiety and Depression Scale, Dyadic Adjustment Scale, Coping Questionnaire) e poter successivamente fornire indicazioni metodologiche su quale possa essere la tipologia di percorso più vantaggiosa da intraprendere. In tal modo, sarà possibile inoltre valutare le risposte psicologiche scaturite dal fallimento dei tentativi naturali di concepimento e registrare la presenza di una possibile sterilità psicogena o di aspetti psicologici rilevanti preesistenti alla condizione di infertilità. Il primo colloquio si caratterizzerà per una duplice valenza informativa e relazionale: nel trasmettere alla coppia le comunicazioni riguardo alla condizione che sta affrontando, lo specialista dovrà costruire uno spazio improntato alla fiducia reciproca, all’accoglienza ed al contenimento emotivo. Appare importante come i soggetti coinvolti debbano essere posti nella condizione di poter esprimere liberamente considerazioni intorno alla propria esperienza, al proprio disagio, alle proprie aspettative, ai tentativi di concepimento naturale improduttivi; in un clima di empatia che possa confermare l’impressione di essere compresi nella propria sofferenza e stabilire le linee per un intervento efficace. La raccolta e l’analisi dei dati sul pregresso della coppia e sulle aspettative genitoriali dovranno essere completate e integrate dagli esiti dei test psicologici, in modo da delineare un quadro anamnestico sulla base del quale formulare il referto psicodiagnostico. Al termine dell’indagine preliminare, i risultati e le valutazioni prodotte saranno presentate alla coppia in un colloquio di restituzione e a seconda delle esigenze sarà posta l’alternativa di un intervento di supporto psicologico, che accompagnerà la coppia durante il trattamento sostenendola nei passaggi particolarmente critici, o di un intervento psicoterapeutico, in presenza di un quadro psicopatologico complesso. La tipologia di intervento proposto (supporto psicologico o psicoterapia), le modalità (colloqui di coppia, incontri di gruppo, sedute individuali) e i tempi di esecuzione saranno modulati in base al profilo psicologico della coppia ed a fattori quali il perdurare della condizione di infertilità o il numero di tentativi di procreazione assistita improduttivi. Per le coppie che accedono per la prima volta al trattamento, il supporto psicologico dovrà essere orientato al contenimento ed alla gestione dell’ansia durante gli accertamenti clinici e all’individuazione delle risorse per affrontare consapevolmente il responso degli esami. La diagnosi di infertilità può generare una serie di risposte negative, dallo shock alla negazione, dalla colpevolizzazione di se stessi o del partner a sentimenti di vergogna, dalla rabbia alla perdita dell’autostima, che possono compromettere seriamente il funzionamento psicologico se non accuratamente elaborate e gestite, oltre che intaccare la stabilità coniugale ed il funzionamento sessuale. Sarà opportuno dunque analizzare e valutare scrupolosamente gli effetti della diagnosi, suggerire modalità di adattamento e di coping adeguate, allo scopo di preservare le competenze decisionali sufficienti per una scelta operativa matura ed appropriata, indipendente da condizionamenti esterni, cercando un’armonia consapevole tra i bisogni e i desideri della coppia e le possibili strategie risolutive. In viaggioNella pluralità dei bisogni e degli indicatori di rischio rilevati nella fase di accesso ai trattamenti, nelle singolarità di ciascuna configurazione coniugale, nella diversificazione delle tecnologie procreative, il percorso psicologico a sostegno della sequenza clinica focalizza una direttrice comune ed un nucleo di obiettivi specifici funzionali all’attivazione di interventi personalizzati. In particolare, il percorso psicologico dovrà operare per la prevenzione e la salvaguardia da eventuali fattori di rischio, allo scopo di mantenere un livello soddisfacente di funzionamento coniugale ed esplorare le risorse individuali e di coppia utili a fronteggiare positivamente le difficoltà che si possono presentare durante il trattamento. In tal senso, è possibile articolare le linee operative per un protocollo integrato secondo una progressione che attraversa quattro grandi aree:
Pur disposte secondo una scala crescente di partecipazione che riflette la continuità cronologica del trattamento, le quattro aree dovranno essere considerate potenzialmente e costantemente attive, come i quattro vertici di un rettangolo di gioco: l’azione potrà spostarsi imprevedibilmente all’interno del campo delimitato e lo specialista avrà il compito di monitorare all’occasione le criticità emergenti ed operare interventi tempestivi e mirati. Accettazione realistica della condizione di infertilitàLa fiducia nelle tecnologie mediche di procreazione assistita non corrisponde ad una previsione di certezza nell’ottica della risoluzione del problema di infertilità. L’atteggiamento prevalente nella maggior parte delle coppie che accedono per la prima volta al trattamento è improntato ad un generale ottimismo: si assegna alla medicina una valenza risolutiva quasi magica circa le probabilità di realizzazione dell’aspettativa genitoriale. L’unico punto fermo per la coppia è la fatica dell’intraprendere un percorso che potrà condurre al concepimento del figlio atteso ma anche incontrare la delusione di eventuali tentativi fallimentari. In questi casi, all’entusiasmo iniziale subentra lo sconforto e si acuisce la sensazione dell’impossibilità di portare a termine con successo il trattamento. Occorre dunque riportare le aspettative genitoriali su un piano di realtà, nella consapevolezza che l’esito finale potrà essere positivo o anche negativo, e che quasi sicuramente non sarà possibile concludere la sequenza clinica al primo tentativo. La ripetizione dei cicli genera nella coppia una percezione di inadeguatezza che deriva dal non riuscire a rimuovere il blocco dell’infertilità ed esclude allo stesso tempo pratiche di accettazione ed elaborazione del problema. Un buon livello di consapevolezza relativo all’infertilità permette un dimensionamento più realistico delle aspettative per una risoluzione immediata e definitiva della propria condizione in modo da consentire l’elaborazione della sofferenza e superare la frustrazione di eventuali insuccessi. L’accettazione del disagio dovuto all’infertilità apre al riconoscimento di una parte di sé che si vorrebbe allontanare ed offre, nell’economia della coppia, gli strumenti per rispondere positivamente al senso di precarietà psicologica sperimentato. Nella costruzione di uno scenario realistico assume un’importanza centrale anche la definizione di uno spazio emozionale all’interno del quale la coppia potrà essere guidata all’esplorazione delle ansie e dei vissuti emotivi legati al fallimento dei tentativi di concepimento naturale e a confronto diretto con la propria sofferenza, in modo da ridurne l’intensità e garantire una serenità maggiore. In alcune circostanze, l’investimento eccessivo in termini di fiducia circa le possibilità risolutive della medicina spinge i soggetti coinvolti a soffocare le emozioni negative, compensando il disagio attraverso comportamenti reattivi che spingono ad esprimere un benessere malgrado tutto, che non rispecchia fedelmente la densità del dolore psichico. Il rischio insito in condotte simili è un radicamento dell’esperienza traumatica, negata con decisione, che compromette pesantemente il funzionamento psicologico. Il ricorso alla consultazione psicologica acquista un rilievo peculiare laddove incoraggiato dagli specialisti medici. L’invio, se espresso in termini di risorsa, promuove una validazione diagnostica del bisogno di supporto, offrendo alla coppia l’opportunità di esplicitare e conoscere il proprio malessere. Protezione del funzionamento coniugaleL’intervento psicologico durante il trattamento influisce positivamente sul mantenimento di una qualità soddisfacente della relazione coniugale. Il percorso di riproduzione assistita determina nei soggetti coinvolti livelli di stress e di ansia elevati, legati al carattere intrusivo del protocollo clinico ed alla crisi della progettualità genitoriale condivisa, che può provocare una sorta di svalutazione delle motivazioni che ne garantiscono la coesione. In assenza di una comunicazione reciproca ed efficace, della comprensione profonda dei vissuti e delle sensazioni del partner, le tensioni e le frustrazioni possono assumere risvolti conflittuali difficili da contenere. Un monitoraggio assiduo da parte dello specialista consente la prevenzione di situazioni rischiose sotto il profilo emotivo: l’intervento sarà finalizzato all’individuazione dei meccanismi innescati dal passaggio critico, al miglioramento delle abilità comunicative e relazionali, all’acquisizione di strategie positive per la risoluzione di eventuali conflitti ed alla revisione delle ragioni fondative del legame di coppia. I dati sperimentali mostrano risultati contraddittori circa le relazioni tra infertilità e funzionamento coniugale: se da un lato le risposte negative compromettono il livello di soddisfazione dei partner aumentando i motivi di conflitto, in numerose esperienze si registra un generale incremento nella percezione di saldezza del legame di coppia, in quanto le difficoltà affrontate comportano vissuti di maggiore intimità. L’obiettivo prioritario, ad ogni modo, sarà quello della tutela della qualità della relazione coniugale, intesa nella globalità delle sue dimensioni, non ultima quella del funzionamento sessuale. L’esperienza dell’infertilità produce alterazioni significative nel livello di gratificazione: l’accettazione difficoltosa del proprio corpo si traduce i sentimenti di impotenza per gli uomini, in un calo del desiderio per le donne; l’impoverimento della vita sessuale, spesso limitata esclusivamente all’urgenza della finalità procreativa, segna una profonda distanza emotiva, che porta ad un aumento del disagio relazionale ed alla diminuzione della comunicazione di coppia. Oltre che a rilevare la presenza di disfunzioni sessuali pregresse o di problemi coniugali già esistenti, l’intervento psicologico sarà volto alla prevenzione di eventuali disturbi psicosessuali che possono insorgere ed al miglioramento del livello di soddisfazione sessuale, che molto spesso prescinde dalle problematiche intrinseche dell’infertilità. Gestione consapevole delle emozioniLa condizione prolungata di infertilità, la revisione delle aspettative genitoriali, gli eventuali fallimenti sperimentati investono differenti livelli esistenziali sul piano individuale e coniugale e si configurano quale una vera e propria crisi di vita. In questo passaggio, l’equilibrio psicologico della coppia viene messo a dura prova e i partner attraversano una gamma complessa di vissuti emozionali negativi che, laddove non adeguatamente compresi e affrontati, possono generare compromissioni profonde nelle aree di funzionamento personale, relazionale, professionale, sociale. La condizione emotiva più frequente sembra essere la depressione, associata ad un sentimento di perdita che interessa il progetto di vita della coppia, la qualità della relazione amorosa e sessuale, l’autostima e lo stato di benessere, lo stato di prestigio rispetto al contesto sociale di riferimento. Anche l’assenza del bambino desiderato, nella sua valenza simbolica, acquista il carattere della perdita e del lutto. Altre manifestazioni negative registrate durante i trattamenti possono essere lo stress e la stanchezza legate al succedersi delle differenti fasi della sequenza clinica, la rabbia nei confronti delle coppie che riescono a realizzare serenamente il proprio progetto genitoriale, il senso di colpa del partner infertile nei confronti di quello sano o, al contrario, dell’uomo nei confronti della compagna maggiormente esposta alle cure mediche. L’intervento psicologico dovrà accompagnare le coppie interessate alla scoperta ed all’accettazione delle emozioni, specie quelle negative: il rifiuto nel riconoscere la condizione di disagio e sofferenza ha l’effetto di spingere in avanti nel tempo una possibile risoluzione del problema e il perdurare del dolore, in mancanza di una consapevolezza sufficiente, ne amplifica le conseguenze distruttive. Inoltre, lo specialista dovrà scoraggiare il ricorso a strategie disfunzionali quali la negazione o l’evitamento, confermando la legittimità delle risposte negative in relazione allo stato di infertilità, attivando di volta in volta percorsi di ascolto empatico, elaborazione dei vissuti, contenimento del disagio, ricerca di strategie positive, al fine di suggerire una maggiore padronanza nell’autocontrollo ed una gestione efficace delle criticità. Di seguito, si riportano nel dettaglio i principali obiettivi del counseling in relazione alla tipologia di risposta espressa dai soggetti durante il trattamento. RISPOSTA EMOTIVA - OBIETTIVI DEL COUNSELING Shock
Depressione
Stress
Senso di colpa
Perdita di controllo
Rabbia
Invidia
Vergogna
Senso di inadeguatezza
Ansia da responso
Ansia da fallimento
Isolamento
Angoscia
Attribuzione delle colpe
Controllo ossessivo
Negazione
Attivazione di risorse e strategie positiveLa crisi generata dalla scoperta dell’infertilità e lo stress che deriva dall’affrontare il trattamento di riproduzione medicalmente assistita sottopongono la coppia ad una verifica della qualità del legame. L’intervento psicologico dovrà sondare le risorse individuali e di coppia sulle quali si fonda la relazione coniugale e ripristinarne la funzionalità in modo tale da stabilire sulle abilità dei partner un’alleanza amorosa che permetterà di attivare il supporto reciproco tra i coniugi e valorizzare atteggiamenti e strategie che, sebbene neutralizzate dal disagio emotivo, costituiscono uno strumento prezioso nella gestione delle criticità emergenti e possono essere recuperate e spese nell’ottica del superamento delle difficoltà presenti. Migliorare il livello della comunicazione tra i partner e rafforzare le istanze positive che caratterizzano la relazione coniugale potrà permettere di agire efficacemente nell’individuazione dei meccanismi coinvolti nel manifestarsi di vissuti negativi, in modo da limitare la gravità della sofferenza psichica e rendere più agevole il trattamento. Spesso l’incapacità di esprimere compiutamente le sensazioni dolorose, il silenzio che le costringe a saturare lo spazio dell’individualità, lo spostamento delle interazioni verbali in una stereotipa dimensione di ordinarietà quotidiana, i tentativi di rimozione possono originare una compromissione della qualità del legame e portare ad una vera e propria rottura: il malessere invade il normale funzionamento della relazione, generando una conflittualità latente che, se non adeguatamente gestita, conduce ad un inevitabile scadimento del rapporto fra i coniugi. Sarà dunque opportuno indagare profondamente le tensioni presenti e facilitare una comunicazione efficace, in cui le informazioni, anche quelle più difficili da elaborare, possano circolare liberamente e dove ciascuno possa parlare liberamente, trovare un riscontro nell’ascolto dell’altro e accogliere i messaggi del partner. Arrivi e nuove partenzeAl termine del percorso di riproduzione assistita, l’impossibilità di determinare e controllare il risultato atteso incontrano due scenari possibili, approdi estremi che chiamano la coppia ad una riformulazione degli equilibri interni e della progettualità condivisa, la spingono al confronto con situazioni nuove ed in una certa misura imprevedibili, che richiedono competenze decisionali, abilità emotive e comunicative tali favorire l’adattamento e gli orientamenti circa le scelte da operare successivamente. Il successo del trattamento è indiscutibilmente portatore di gioia e soddisfazione, nella realizzazione compiuta del desiderio genitoriale, ma comporta una serie di ansie e preoccupazioni durante la gravidanze e dopo la nascita del bambino che derivano dalla necessità di affrontare serenamente le esperienze della gravidanza e del passaggio alla genitorialità, che costituiscono un evento centrale della vita umana e necessitano di adattamenti psicologici, fisici ed intrapsichici per le coppie precedentemente infertili. L’insuccesso del trattamento, al contrario, implica un acuirsi delle sofferenze, in misura variabile rispetto ai vissuti esperienziali della coppia, ai profili psicologici dei partner, agli eventuali fallimenti già sperimentati. Inoltre, la coppia dovrà decidere se sottoporsi ad un nuovo ciclo di riproduzione assistita, laddove siano verificate le circostanze mediche sufficienti, procedere all’adozione o rinunciare definitivamente al progetto genitoriale, per scelta o per l’impossibilità del concepimento, ma anche per la mancanza di un partner adatto con il quale realizzare il desiderio di concepimento. La non genitorialità è un evento che ha un impatto significativo sulla famiglia e l’identità personale e la misura di tale cambiamento non è meno importante dell’ansia che caratterizza la transizione alla genitorialità. In un caso o nell’altro, emerge la validità del sostegno psicologico anche a conclusione del trattamento: in caso di successo, per accompagnare la coppia durante la gravidanza e prepararla a vivere coerentemente la genitorialità; in caso di insuccesso, per affrontare i sentimenti di perdita e le emozioni negative e operare successivamente una scelta matura e consapevole. Scenari di successoLa gravidanza ottenuta grazie ad un percorso di riproduzione assistita rappresenta un traguardo di valore assoluto, prezioso e precario al tempo stesso: per raggiungerlo, sono state investite numerose energie fisiche, psichiche, economiche e mediche. Gravidanza e genitorialità segnano il passaggio alla vita adulta e l’accettazione di un ruolo di responsabilità ed attivano, in un tempo relativamente breve, un complesso sistema di cambiamenti: la donna sperimenta la condivisione del suo corpo con un’altra persona, la trasformazione dell’immagine corporea, il cambiamento delle relazioni con gli altri; inoltre, deve prepararsi al processo di individuazione e separazione rispetto al feto-bambino e rivedere il sentimento di maternità generale alla luce della gravidanza e del futuro ruolo specifico di madre. Le ansie e lo stress della gravidanza possono incidere sulla capacità di reazione agli eventi, sulle relazioni con figure significative e sull’equilibrio psicologico complessivo: se da un lato il senso di realizzazione determina una crescita dell’autostima e della percezione di benessere percepito, dall’altro i cambiamenti psicologici e fisiologici possono portare una certa ostilità. Questa ambivalenza, unita ad una eccessiva paura dei rischi possibili correlati, può rendere più difficile l’adattamento alla gravidanza ed il passaggio alla genitorialità. Dal punto di vista psicologico, è possibile evidenziare delle linee di condotta generali che le donne possono manifestare durante la gravidanza ottenuta dopo infertilità: l’altruismo eccessivo verso il bambino, nell’ottica di una gravidanza sentita come premio che esige una dedizione totale e la rinuncia a spendere energie per se stesse; l’assenza del diritto a lamentarsi o a veder riconosciuti i propri bisogni, poiché sembrano aver già ottenuto quello che desideravano; il senso di vulnerabilità dettato dai rischi clinici ai quali sono sottoposte. Le risposte emotive dell’uomo alla gravidanza ottenuta dopo infertilità sembrano condizionate da un insieme di fattori quali il benessere psicologico, la tecnica utilizzata per il concepimento, le complicanze fisiologiche e psicologiche che la gravidanza può comportare per la futura madre. Non si rilevano sostanziali differenze rispetto alle ansie ed alle preoccupazioni generalmente presenti nei padri procreativi ma queste vanno interpretate ed integrate all’interno di un sistema di coppia che ha dovuto attraversare una ristrutturazione profonda e che si appresta a vivere la gravidanza e la transizione alla genitorialità in un quadro relazionale estremamente complesso. Riprendendo la classificazione di Clark e Affonso, i principali compiti evolutivi che attendono la coppia saranno:
In relazione alle aree descritte, l’intervento psicologico a sostegno della coppia durante la gravidanza ottenuta dopo infertilità dovrà operare concretamente per:
Scenari di insuccessoIl fallimento del percorso di riproduzione assistita pone la questione della sospensione o dell’interruzione del trattamento, implicando una rinuncia o una riformulazione radicale del progetto genitoriale. Sul piano tecnologico, sono stati dunque operati i tentativi possibili per rispondere all’infertilità e non ci sono elementi che possano indurre una previsione positiva per un tentativo futuro. L’esiguità delle probabilità di successo, l’investimento economico e psichico dei partner, il rischio di un deterioramento o della rottura della relazione coniugale inducono alla presa di coscienza dell’impossibilità di realizzare di concepire un figlio proprio e costituiscono i presupposti per la definizione di strategie efficaci per superare il dolore e la delusione e preservare la relazione di coppia su nuove basi. I modelli teorici che hanno affrontato il drop-out dei percorsi terapeutici, mettono in luce la necessità di predisporre interventi strutturati che possano accompagnare le coppie ad una piena consapevolezza dei propri bisogni, dei propri limiti e delle proprie risorse, alla maturazione di scelte operative o di adattamento soddisfacenti, alla ricerca di obiettivi plausibili. Blenner propone un modello basato sui concetti di impegno, coinvolgimento e disimpegno. Il processo che culmina drop-out delle terapie coincide con lo stadio del disimpegno, attraversando i livelli progressivi della rinuncia, dell’abbandono e uscita, del cambiamento di obiettivi. La coppia, o anche uno solo dei partner, inizia a prendere in considerazione la possibilità di rinunciare ad una soluzione tecnologica del problema dell’infertilità e di rinunciare al trattamento, preservando le energie residue in vista di un nuovo orientamento. La rinuncia comporta sentimenti di panico e stati ansiogeni di intensità minore rispetto al passato, nella misura in cui la coppia percepisce un maggiore locus of control e riesce ad accettare la convinzione di aver fatto il possibile per realizzare l’aspettativa genitoriale; a questo si associa il sollievo dal peso delle procedure cliniche. Nella revisione degli obiettivi specifici legati alla genitorialità, emergono le alternative della ricerca di un percorso di adozione o della decisione della coppia di rimanere senza figli: entrambe devono fare i conti con il senso di perdita e di lutto derivati dall’assenza del bambino desiderato, ma in questo stadio finale la coppia possiede delle risorse maggiori per affrontare la propria storia biologica. Daniluk sviluppa un impianto articolato in quattro fasi consequenziali, che partono dal fronteggiare gli ostacoli della realtà per procedere dunque alla rielaborazione del passato in chiave del cambiamento da progettarsi per il futuro, recuperando le energie funzionali al raggiungimento dei nuovi obiettivi di coppia. L’abbandono del percorso terapeutico è segnato dalla rielaborazione dei vissuti negativi legati all’infertilità, una condizione da accettare come immutabile. La rabbia, la frustrazione e l’instabilità del legame caratterizzano questo processo, nel quale si cerca di dare significato al lungo periodo di terapie e di tracciare ipotesi di crescita per la progettualità coniugale. Occorre dunque superare la delusione e lo sconforto del fallimento e virare verso il futuro, recuperando le energie disponibili ed integrando l’infertilità non risolta nella ricerca di una nuova stabilità per la propria relazione. L’intervento psicologico a seguito di un fallimento nel ciclo di riproduzione assistita dovrà in primo luogo favorire l’elaborazione delle emozioni negative e dei sentimenti di perdita per il bambino atteso: la coppia dovrà avere la possibilità di esprimere compiutamente preoccupazioni e ansie, di esplicitare risposte emotive anche intense, sostenute da strategie di ascolto empatico funzionali all’analisi dei profili psicologici ed al superamento della sofferenza. Lo specialista mostrerà ai coniugi la necessità di accogliere le manifestazioni del disagio vissuto e di confrontarsi con il decadimento dell’illusione genitoriale, offrendo indicazioni efficaci per attivare modalità positive di gestione del dolore. Sarà importante tutelare la qualità della relazione coniugale: l’insuccesso del trattamento non deve coincidere con il fallimento della relazione di coppia e ciascuno dei partner dovrà operare per sostenere il funzionamento coniugale. Inoltre, sarà opportuno aiutare la coppia a riflettere sui comportamenti attivati per la risoluzione del problema di infertilità in modo da scoraggiare l’attribuzione della responsabilità del fallimento a condotte non conformi o ad uno scarso impegno; e sottolineando, al contempo, gli aspetti positivi della conclusione delle terapie, come l’allentarsi di una pressione costante, il ritorno ad una dimensione privata della relazione di coppia, la possibilità di indirizzare le proprie risorse verso altri obiettivi. Sarà dunque possibile favorire l’uscita della coppia dalla situazione di empasse e facilitare successivamente una scelta realistica, affrontando le opzioni alternative al concepimento naturale e discuterle con i partner, cercando di risolvere gli eventuali contrasti e assicurando la comprensione reciproca. Infine, nel caso in cui la coppia prenda la decisione di rimanere senza figli, l’intervento psicologico dovrà supportare questo orientamento, laddove coerentemente espresso, accompagnando i coniugi nel processo di elaborazione del lutto e rafforzando le risorse e le motivazioni che spingono i partner a ricostruire consapevolmente il proprio progetto di vita. Interventi psicologici di gruppoSarebbe auspicabile che i centri di PMA, oltre a proporre consulenze avviate con le coppie singolarmente, proponessero anche incontri di gruppo.
Numerosi studi riferiscono gli evidenti benefici che provengono da questa esperienza di supporto psicologico. Altri studi concordano nell'evidenziare il miglioramento in gruppi di coppie infertili sulla capacità di mettersi in gioco e di affrontare il percorso, ed un generale abbassamento del livello di stress e di depressione. Appare quindi doveroso considerare la necessità di realizzare incontri di gruppo destinati sia a definire un appoggio psicologico, sia a fornire indicazioni e comunicazioni, oltre che incoraggiare l’acquisizione delle abilità necessarie per affrontare con meno sofferenza possibile, l’esperienza di non riuscire a concepire il figlio. Molte delle coppie incontrate nei centri hanno confermato che la necessità primaria è quella di avere più informazioni sull’infertilità e sulla PMA, aggiungendo che l’informazione dovrebbe precedere la scelta di diventare genitori. Le indicazioni che le coppie si aspettano di ricevere riguardano prevalentemente tre punti:
La letteratura indica tre modelli per compiere un sostegno psicologico di gruppo con coppie infertili:
La sperimentazione clinica nei centri di procreazione assistita in Italia non promuove il supporto di gruppo e la sensibilità mostrata nel fornire un certo grado di accompagnamento psicologico alle coppie infertili mostra evidenti aspetti di criticità. La necessità di creare gruppi di pazienti infertili deriva da urgenze espressamente trasmesse dalle coppie: accettazione, comprensione, sostegno e trasformazione del senso di solitudine. In tal senso, l’inserimento in una rete di coppie permette la condivisione di uno spazio dove la solitudine e l’ansia trovano un’apertura nella narrazione di se stessi. Il sostegno di gruppo non esaurisce il trattamento terapeutico ma il rinforzo reciproco che ne deriva alimenta un clima di confronto e discussione, nel quale i vissuti quotidiani delle coppie, sotto la supervisione di specialisti ginecologi e psicologi, integrano le informazioni cliniche in modo da garantire un livello di coinvolgimento emotivo più alto ed interazioni più soddisfacenti. Il bambino interiore è un’energia inconsapevole, una parte di noi che ha voglia d’esplorare, di coltivare i propri doni e di credere nelle proprie capacità. Il bambino interiore è l’emblema della spensieratezza, colui che ci guida con fiducia nella vita. Cos’è il bambino interiore?Sia in poesia, con Pascoli, che nel Vangelo, grazie all’invito del Cristo, ci viene spiegato quanto importate sia rimanere bambini, nell’animo e nel cuore. La psicologia e la psicoterapia non sono da meno: accogliere il nostro bambino interiore significa sancire un’unione con la sorgente primordiale della nostra esistenza. Non sempre, però, il fanciullo che vive in noi è felice. Il bambino interiore, infatti, può essere appagato e gioioso, ma anche scalfito e lacerato. Nel primo caso, il bambino interiore vive nella soddisfazione e nella pienezza, tenendoci in continuo legame con la nostra sorgente originaria; nel secondo caso, invece, il bambino interno avanza elaborando ogni esperienza attraverso il filtro delle ferite del passato. Durante l’infanzia, quando bambini lo si è anche fuori, ci si identifica con la realtà esterna ma, con la crescita, gli eventi iniziano a essere immagazzinati in una parte profonda della nostra persona: le poche scie del passato che permangono tendiamo a proiettarle al di fuori di noi. Naturalmente, se siamo stati bambini gratificati e lodati, ci immetteremo fiduciosi sui sentieri della vita, sicuri di poter trovare un posto straordinario tutto per noi; all’opposto, se da bambini ci è capitato di sperimentare condanna e rifiuto, vivremo nella speranza che “l’altro” possa approvare i nostri talenti; anzi, potremo arrivare a pensare di non possederne alcuno.
Come riscoprire il nostro bambino interiore?Come riscoprire e guarire il nostro bambino interiore grazie a ipnosi e psicoterapia. Eventi e situazioni negative, dunque, possono infliggere al bambino una ferita narcisistica che, se non rimarginata, provocherà dolore anche in età adulta. Per porre fine alla sofferenza, tenderemo inconsapevolmente a cose, condizioni e relazioni, nella speranza che sanino le ferite del bambino interiore. Le nostre azioni saranno quindi permeate da una malinconia antica, proveniente dal passato ma attiva nel presente. Ci sentiremo inadeguati, insicuri, mortificati, alla perenne ricerca di riconoscimento. Il nostro bambino interno cercherà di aiutarci rivolgendosi, erroneamente, verso l’esterno. Se, invece, tenteremo di sanare dall’interno le nostre lacerazioni avremo maggiori possibilità di rigenerarci. Per poter raggiungere il benessere, dobbiamo comportarci da adulti e aiutare il nostro bambino interiore. Il bambino ferito, infatti, caratterizzato da una grande debolezza, non partecipa alla nostra crescita, e si allontana dalla forza creativa. È una porzione di noi che rimane interrotta. Per eliminare l’ostacolo e portare il bambino interiore ad allinearsi, dobbiamo costruire un luogo sicuro in cui possa sentirsi approvato e accettato. L’ipnosi psicoterapica è la strada giusta da percorrere per riuscire in quest’impresa: il bambino interiore, accolto in uno spazio confortevole, accudito dalla nostra consapevolezza adulta, riuscirà a guarire. Le lacune saranno riempite, le ferite ricucite e risanate. Il bambino interiore tornerà a essere creativo e spensierato, capace di offrirci nuove prospettive di vita. ConclusioneGrazie alla psicoterapia e attraverso l’ipnosi, riscopriremo il nostro bambino interiore, e non dovremo rinunciarvi mai più.
L’impatto dell’infertilità sul funzionamento psicologico, emozionale, coniugale e sessuale della coppia appare evidente ed i vissuti connessi possono innescare condizioni patogene in relazione ad una quantità di fattori individuali e di coppia, cognitivi ed emotivi, clinici e sociali. Infertilità di coppiaSecondo Righetti, l’uomo e la donna infertili mancano di una possibilità evolutiva non solo fisicamente, ma anche psicologicamente: questa mancanza può inficiare il benessere e l’equilibrio psichico fino a portare a psicopatologia. L’impossibilità nell’esplicitarsi della propria potenzialità genitoriale conduce la coppia ad affrontare una vera e propria crisi di vita, caratterizzata da molteplici vissuti di perdita da una varietà di risposte emozionali che investono ogni aspetto della vita dei singoli e della coppia, attaccando le motivazioni di competenza e di controllo, generando una condizione altamente stressante che minaccia anche gli ambiti dell’impegno lavorativo e degli interessi culturali: tale condizione configura un quadro psicologico paragonabile soltanto all’esperienza di morte o di divorzio, nel quale il dolore associato all’infertilità assume le forme del dolore per la morte del figlio. La donna sterile vive la sua condizione come assenza di un figlio e mai come una inesistenza, pertanto è opportuno valutare la differenza tra ciò che non è mai giunto all’essere e ciò che è riconducibile ad uno sfondo di presenza: il vuoto nel grembo della donna sterile non corrisponde alla pienezza delle proiezioni fantasmatiche nel mondo rappresentazionale. Vegetti Finzi osserva come prima di esistere nel corpo il figlio vive nell’immaginario inconscio da dove nulla potrà espellerlo, in quello spazio mentale creato appositamente dalla coppia che esprime reazioni emozionali intense ascrivibile ad un generale sentimento di perdita di qualcosa che non è ancora possibile identificare con chiarezza. La coppia infertile vive un’esperienza simile al lutto, in cui l’estinto è il bambino immaginario, produzione fantastica dell’infanzia fissata nell’orizzonte delle rappresentazioni mentali. L’impossibilità di elaborare un lutto che preclude il la proiezione nel tempo della propria identità biopsicologica e sociale e minaccia il desiderio di immortalità è determinata da una diagnosi di sterilità che, secondo Martinelli, paralizza immediatamente la vita fantasmatica interiore e rappresenta un attentato all’immagine di sé ed all’ideale dell’Io e fa cadere preda di angosce di abbandono, senso di inconsistenza, di aridità, con sensazioni di rabbia, di depressione, inferiorità e mancanza di desiderio. Infertilità: le fasi del luttoHo individuato due tipologie generali di lutto nei vissuti di perdita della coppia infertile:
Più in generale, il sentimento predominante di perdita interessa ambiti differenti all’interno dei quali è possibile verificare l’attivarsi di stati ansiogeni o depressivi che concernono:
In particolare, il sentimento di perdita dell’autostima associato alla constatazione dell’incapacità di procreazione ed al fallimento di un progetto di vita familiare acuisce la consapevolezza di non poter attendere le aspettative familiari e sociali entrando compiutamente nel ruolo di genitori. Le dinamiche psicologiche conseguenti alla diagnosi di infertilità mostrano la pervasività di tale esperienza nello status affettivo della coppia e nella capacità di gestire positivamente le relazioni interne ed esterne e si estende all’ambito sociale e lavorativo. La ricerca di un figlio acquista dunque una rilevanza prioritaria sotto tutti gli aspetti e si pone quale obiettivo imprescindibile comportando una sorta di sindrome da desiderio di figli. Desiderio di un figlioMolte donne ammettono che il loro soverchiante desiderio di un figlio avvelena il loro spazio psicologico interiore; questo vissuto psicologico opprimente determina non solo una sterilità fisiologica ma anche una sterilità relazionale, in quanto le risorse attentive si volgono esclusivamente all’elaborazione del vuoto percepito nel ventre. Tale condizione impedisce a donne nel fiore della loro vita di accettare il fatto che non a tutti i fiori è data la possibilità di produrre un frutto e che per questo motivo non si deve considerare la fioritura unicamente come preludio al frutto e credersi, dunque, derubate del proprio valore intrinseco poiché avere figli non è la cosa più naturale del mondo, come invece si asserisce, ma solo una capacità posseduta da molte. L’infertilità può essere vissuta dunque come trauma narcisistico il cui superamento non si esaurisce nelle possibilità concrete che la tecnologia medica offre di risolvere il problema, ma contempla interventi di sostegno che possano studiare la struttura caratteriale dei soggetti sul piano individuale ed osservare le dinamiche di coppia al fine di stimolare o ristabilire la ricerca di un equilibrio soddisfacente. Il compito intrapsichico che le coppie si trovano ad affrontare muove dall’accettazione della condizione problematica ed include progressivamente la capacità di far fronte alle pressioni sociali, la rielaborazione del lutto derivante dall’esperienza della perdita dell’ideale di sé e della propria immagine corporea, la riflessione sull’importanza della genitorialità e la riconsiderazione delle motivazioni che spingono ad avere un figlio, per giungere alla decisione circa l’eventualità di intraprendere un iter diagnostico e terapeutico modulato sulla base delle caratteristiche specifiche e dei vissuti fisiologici e psicologici in atto. A tal proposito, alcuni scienziati hanno proposto una modellizzazione della sequenza emotiva delle risposte che accompagnano l’accertamento e la diagnosi di infertilità. I contributi principali appaiono quelli avanzati rispettivamente da Monga e McMahon. Monga suddivide la reazione emotiva alla diagnosi di infertilità nelle fasi seguenti:
Disturbi o stati psicologici codificatiAltri studiosi hanno offerto una lettura delle risposte emotive all’infertilità in termini di disturbi o stati psicologici codificati: Il modello di Hill, ad esempio, afferma che l’infertilità costituisce un disturbo d’ansia postraumatico, poiché l’incapacità di avere figli travalica il raggio d’azione dell’esperienza umana della maggior parte della popolazione ed è vissuta quale un evento privato isolante e fonte di disagio, rinnovato periodicamente dalla comparsa del ciclo mestruale che sancisce un obiettivo non raggiunto o dagli eventuali stimoli esterni che possono rammentare la perdita subita, per cui si segnalano collaterali emotivi quali perdita di interesse per le attività quotidiane, insonnia, rabbia, difficoltà di concentrazione, perdita d’entusiasmo vitale. Flemming definisce l’infertilità uno stato patologico cronico che una coppia non risolve mai completamente e rispetto al quale deve ricercare un equilibrio adattivo, poiché anche in presenza di una eventuale gravidanza la diagnosi entra a far parte stabilmente della storia di coppia, per cui occorre limitarne al minimo gli effetti negativi e valorizzare al contrario versanti positivi della relazione. In relazione alle sequenze emotive descritte, è opportuno considerare brevemente i fattori concordemente identificati che possono mediare la qualità e la tipologia della risposta psicologica alla diagnosi di infertilità e che vengono individuati in:
Infertilità e depressioneLa reazione di tipo depressivo è secondo Mahlstedt una risposta piuttosto comune alla diagnosi di infertilità e può assumere un carattere episodico legato a momenti di particolare sconforto quale può essere ad esempio la ricomparsa del ciclo mestruale o al contrario rappresentare una specie di maledizione quotidiana quando intacca in modo durevole il complesso delle esperienze della coppia. La risposta depressiva può derivare dalla condizione di stress prolungato legata all’infertilità ma anche dal sentimento profondo della perdita che coinvolge le modalità dell’individuo di rapportarsi a sé stesso ed agli altri: l’infertilità compromette l’immagine del Sé in termini di attrattività, spontaneità sessuale, funzionalità e salute fisica. In particolar modo, il corpo viene percepito come danneggiato o difettoso poiché ogni disturbo fisico diagnosticato viene vissuto come una menomazione del corpo simbolico, dell’immagine di sé che ognuno si crea nella propria fantasia, dove però non esiste alcuna divisione tra fisico e psicologico. Il quadro generale contribuisce alla creazione di una immagine distruttiva del Sé, dove l’infertilità è percepita con un insulto alla propria autostima, che subisce pericolose fluttuazioni segnate dall’alternanza dei sentimenti di speranza o delusione che caratterizzano il percorso diagnostico e terapeutico. Il riflesso sociale della diagnosi di infertilità è una particolare condizione di solitudine e di incapacità di intrecciare relazioni positive con il mondo esterno che implica l’estensione della sterilità biologica alla sterilità sociale, con il rifiuto della compagnia degli altri, nella quale appare rilevante il sentimento dell’invidia che si manifesta nella volontà di voler sottrarre o compromettere per qualcuno che ne sia in possesso una proprietà desiderabile, circostanza che acuisce la tendenza delle coppie infertili ad evitare contesti o situazioni in cui potrebbero avvertire una pressione a procreare da parte di familiari o amici. Il distacco ricercato dunque contribuisce a mascherare il sentimento dell’invidia ed il senso di vergogna ed inadeguatezza dovuto all’incapacità di assolvere alla richiesta di generazione che la società rivolge ad ogni coppia: amarezza, opprimenti sensi di colpa, paura di essere esposte al pubblico ludibrio per non essere in grado di fare ciò che ogni mucca fa rafforzano nella donna l’isolamento e il ripiegamento su sé stessa. Si osserva come la condizione di infertilità possa inficiare la qualità del rapporto di coppia sul piano della comprensione reciproca: ciascuno dei partner sviluppa modalità specifiche in risposta alla frustrazione e l’incapacità di gestire sentimenti negativi unita alle difficoltà comunicative generate dall’esaurimento delle emozionali e dal venir meno dell’apertura e del sostegno reciproco, provoca reazioni di risentimento o di abbandono che possono portare talvolta alla separazione: i due partner impotenti, feriti e che feriscono, vengono attirati nel circolo vizioso del disprezzo e dell’odio reciproco, che spesso non riescono più a spezzare. Maggiormente per le coppie che si costituiscono come sistema difensivo, l’infertilità può innescare una situazione di stallo intrapsichico e relazionale in cui l’impossibilità di prefigurare una risoluzione positiva del problema aumenta il divario comportamentale tra i coniugi. L’immagine corporea: l'infertilita' fisiologicaIl compito che si pone è quello della ridefinizione del legame di coppia alla luce della diagnosi di infertilità: in alcuni casi è possibile trasformare l’infertilità fisiologica in fecondità psichica attraverso un meccanismo di sublimazione, in altri perdura il rifiuto della propria condizione con una escalation nella ricerca di soluzioni sempre più gravose e stressanti. La pervasività sociale della condizione di infertilità si realizza inoltre nella mancanza di un supporto soddisfacente da parte di familiari ed amici per l’elaborazione del proprio lutto: il mondo esterno appare incapace di comprendere ed assorbire un dolore reale, di poter penetrare efficacemente in un mondo di malattia e dio chiusura nel quale si alternano vissuti di speranza, rassegnazione e solitudine. Il forte legame tra corporeità e stati mentali e il ruolo fondamentale che il corpo acquista nel processo di costruzione dell’identità determinano una modificazione degli stati mentali e della percezione del Sé nel soggetto in corrispondenza di modificazioni significative che si verificano al livello dei vissuti corporei: io sono il mio corpo , osserva Merlau-Ponty, sottolineando con tale affermazione la correlazione inscindibile che interessa le rappresentazioni mentali e gli stati corporei. Lo iato fra ciò che si esige da sé stessi e la propria realtà genera sentimenti di odio per un corpo da cui ci si sente dipendenti ma da cui non si ottengono le risposte desiderate. L’immagine corporea, secondo Schidler, è una Gestalt complessa, mai statica, in continua ristrutturazione e ridefinizione. Non è qualcosa di definitivo una volta per tutte come il corpo anatomico, ma una costruzione che si realizza gradualmente nel soggetto in relazione al mondo e si ridefinisce man mano che nella relazione corpo-ambiente intervengono delle modificazioni. La diagnosi di infertilità interviene a provocare un radicale mutamento ella percezione del proprio corpo in termini di funzionalità e salute, anche a causa dello stress che accompagna le procedure diagnostiche e dei reali effetti dei trattamenti medici. Inoltre, le coppie infertili manifestano una propensione ad enfatizzare gli elementi concreti e somatici della procreazione, lasciando in secondo piano quelli fantasmatici ed affettivi che potrebbero generare un conflitto emotivo che scaturisce dalla mancata volontà di riconoscere la propria condizione. Gli studi di McDougall sulla psicosomatica e sul concetto di forclusione dell’affetto insistono sui meccanismi attraverso i quali le coppie infertili si rifugiano nei fenomeni psicosomatici: l’espulsione della parte psichica di un’emozione permette alla parte fisica di esprimersi secondo le modalità della prima infanzia, non attraverso il linguaggio ma attraverso il corpo, il che porta alla risomatizzazione degli affetti secondo il linguaggio degli organi. Il rifiuto di riconoscere il dolore psichico, dunque, produce una disaffezione del sentire che trova una localizzazione esclusivamente fisica della sofferenza. Le disfunzioni sessualiUn’altra importante conseguenza del conflitto con il corpo è la compromissione della sfera sessuale ed affettiva nei vissuti delle coppie infertili: l’intimità e la spontaneità sono violate da una vera e propria invasione del privato, un complesso di prescrizioni mediche ed intrusioni, fino ad indurre un’alterazione nel ritmo normale della sessualità ed una perdita generale della libido che producono il fallimento della risposta sessuale nel periodo fertile o addirittura l’evitamento del rapporto. La vita sessuale della coppia è strettamente controllata e con l’avvicinarsi dell’ovulazione cresce l’ansia del sesso a comando: per aumentare le probabilità di concepimento, la coppia dovrebbe avere rapporti sessuali in alcuni specifici giorni del mese e ad intervalli prestabiliti, annotando mensilmente i giorni particolari nei quali i coniugi hanno avuto rapporti in modo da determinare se la frequenza o la scelta del momento possano risultare opportuni. Il rinnovarsi di questo rituale che talvolta non lascia spazio ai sentimenti, all’umore od alle condizioni fisiche dei partner avvilisce lo status affettivo della coppia e l’ansia da fecondazione caratterizza negativamente la valenza comunicativa della sessualità, in una sorta di sciopero del piacere nel quale la sessualità perde il suo carattere coinvolgente e non contiene elementi di tensione vitale, di fantasia, di intimità. Si assiste ad una separazione netta tra sessualità e procreazione: se l’introduzione di anticoncezionali ha consentito la sessualità senza concepimento, l’avvento delle tecniche di procreazione assistita offre la possibilità di un concepimento senza sessualità e la ricerca spasmodica di un bambino da parte delle coppie infertili prefigura uno scenario in cui non c’è sessualità senza concepimento, ovvero in cui la sessualità non è più vissuta quale fonte di piacere ma esclusivamente finalizzata alla riproduzione. Tra i problemi sessuali che causano infertilità, i più frequenti sono i disturbi del desiderio, per via dei quali i partner sarebbero portati ad avere rapporti sessuali poco soddisfacenti e troppo poco frequenti per permettere il concepimento. Tra i disturbi prettamente maschili, si registrano impotenza, eiaculazione precoce, eiaculazione ritardata ed incapacità di eiaculare in vagina: il sentimento di perdita relativo alla propria virilità genera sentimenti di inferiorità ed inadeguatezza sessuale e l’incidenza della medicalizzazione sulle disfunzioni sessuali è attestata da numerose ricerche che evidenziano un condizionamento negativo in seguito alle procedure diagnostiche ed ai trattamenti, che si esprime in una diminuzione della frequenza e della spontaneità dei rapporti, difficoltà a raggiungere l’orgasmo, calo del desiderio, eiaculazione precoce, impotenza secondaria, incapacità di portare a termine il coito o azoospermia transitoria in risposta alla richiesta di rapporti per l’esame post-coitale. Per la donna, la difficoltà a trovare nel marito un sostegno valido sul piano fisiologico e psicologico all’impegno nella ricerca di un figlio implica una situazione di angoscia e depressione che si palesano in una mancanza di desiderio ed in una passività sessuale. L’origine delle disfunzioni sessuali induce alla riflessione circa le attese di ruolo legate alla paternità ed alla maternità. La donna fonda parte della sua identità sul tema della vagina, dove il contenuto di piacere va a sommarsi ad un contenuto legato alla riproduzione, a partire dal clitoride, sede del piacere sessuale indipendente dalla funzione procreativa. L’uomo, avendo un unico organo sessuale deputato ad entrambe le funzioni di piacere e procreazione, sviluppa la tendenza a costruire la propria identità di genere nella confusione di potenza sessuale e potenza procreativa: la capacità di fecondare una donna può essere interpretata come una conferma della propria virilità, per cui la relazione tra mascolinità, fertilità ed adeguatezza sessuale appare un intreccio complesso di determinanti fisiologiche e psicologiche che possono incidere negativamente sulla funzionalità sessuale. ConclusioneA maggior ragione, l’infertilità non può quindi essere trattata al pari di ogni altra malattia perché tocca l’essenza stessa della mascolinità e della femminilità: l’intrusività che accompagna le procedure diagnostiche ed il trattamento clinico mettono profondamente in crisi l’immagine del Sé, generando ansie e conflitti che se non affrontati adeguatamente possono provocare squilibri emozionali e psicosessuali.
Paura di andare dallo psicologo? Chi intraprende un percorso di psicoterapia è una persona coraggiosa perché è disponibile a individuare di avere un problema e, a porre a confronto modi di fare o aspetti mentali che gli procurano fastidio. La paura di chiedere aiuto allo PsicologoDebolezza, senso di paura sono espressioni rivestite di dubbi, vergogna che spesso svegliano inquietudine, altre spavento, altre ancora turbamento. La definirei una scatola di pianti bloccati e affetti non gridati. Accade che quando si incontra chi attraversa una sofferenza acuta o sta lottando in uno scontro intenso, ha timore di disingannare, ha terrore di non essere visto a sufficienza agli occhi di chi lo considera, in realtà è atterrito dalla percezione di sentirsi diverso da quello di cui era certo. La debolezza, per un pensiero annientato dall’angoscia, è come l’instabilità per la mancanza di bilanciamento. Tutto ciò può divenire una prospera protezione dove spesso si può rintracciare parti di se e modificare il bruciore di una piaga in una rinnovante opportunità di nuova nascita. La debolezza e la sofferenza hanno sempre la possibilità di venir spaccate nel setting clinico anche se qualche volta accade ci si sforzi oltre misura a snidarle e a persuaderle che esiste una posizione di onorabilità a loro serbato. La debolezza permette l’ingresso a quella parte di se che non prova l’esigenza di celarsi nelle finzioni imposte dalle tradizioni e dalle attese altrui. Quella porzione di vissuto che non ha timore di rispecchiarsi nella propria parte scura e con la possibilità di annetterla nell’Io. E distaccarsi dalle finzioni è amaro e implica una immensa ricostruzione dell’immagine che abbiamo di noi stessi. Principalmente è un tracciato che prosegue incessantemente in una evoluzione interiore, di fatto senza mai raggiungere una reale conclusione, in cui si assimilano anche i lati in minor misura gradevoli di se stessi e si struttura così una forma più concreta di quella mitizzata e che ci soddisferebbe tanto manifestare. Per questo prima di andare fuori sarebbe valido scrutarsi nello specchio e appurare che la mente sia in scompiglio e gli ideali quanto basta arruffati. E in seguito rifiutare il convenzionalismo elevato a morale e reclamare con fierezza le proprie carenze. Accogliendo la possibilità che i dubbi ciondolino soffici sulle spalle, coscienti del fatto che chi possiede eccessive sicurezze, solitamente possiede anche un’esigua creatività. La sofferenza ci percorre tutti come la allegria, le cose inaspettate, la bellezza. Non esiste alcuna esistenza che possieda una corsia preferenziale per esserne dispensata. Non sussistono sconti o categorie privilegiate e non è vero che si manifesta sempre come un insegnamento epocale perchè se realmente la sofferenza distribuisse lezioni, il mondo sarebbe affollato da soli saggi. E invece la sofferenza non concede la possibilità di ammaestrare chi non percepisce l’audacia e l’energia di prestargli attenzione. Riconoscersi e imparare ad accettarsi in fondo è il lusso più elevato che ci si possa accordare perchè raffigura la morbida riparazione con le proprie paure e imperfezioni. E rappresenta il primo scalino per impossessarsi di ciò che realmente si consegue senza appagarsi di ciò che è solo casualmente a portata di mano. Qualsiasi piaga nascosta, per quanto celata da risi o dissimulata da maschere ombrose, seguiterà ad ardere se si persevererà ad innalzare la musica dei propri pensieri più disubbidienti pur di non prenderne in considerazione l’esistenza. La sofferenza educa solo se scortata dalla forza di elaborarla, dall’ audacia di non lasciarsene soggiogare e dalla consapevolezza di sentirsi feribili. Alla fine, ci si avverte più forti proprio in quegli elementi in cui ci si è frantumati, quelli rammendati con la coscienza che essere vulnerabili è una delle tante forme per volersi bene. Per questa ragione accade che quando si parla con amici o parenti e si discute di sofferenza, si prova un’emozione di dubbio e paura a recarsi dallo psicologo.
Perche' il timore di andare dallo psicologo o psicoterapeuta?A cosa è dovuto questo timore, che spinge tantissime persone a rinunciare a un eventuale percorso che risulterebbe invece utile alla loro serenità? La trasformazione è vista infatti da molti individui con preoccupazione. Tra i principali motivi dietro a questo sentimento possiamo trovare il fatto che, in linea di massima, l’essere umano fa molta fatica a slegarsi da quello che gli è familiare, anche se si tratta di elementi contraddistinti da un equilibrio transitorio. Normalmente se si hanno delle fragilità si tende a considerare: “è solo un istante, andrà via” o “la supererò da solo”. Addirittura a volte si ha già il biglietto da visita di uno psicologo custodito nella borsa, ma prima di pensare al suo sostegno si percorrono strade senza orizzonti nell’attesa che la problematica si sciolga da sé. Si rinvia, pur accertando che la forza di volontà o il dialogare con parenti e amici non è adeguato e, che il disturbo è troppo faticoso perché possa risolversi naturalmente. Si trascura che l’aspettare facilmente trascina quella che era solo una problematicità, in una reale patologia. Altre persone vivono il fatto di andare dallo psicoterapeuta come un segno di sconfitta o di debilitazione, e meditano: “Non sono sufficientemente vigoroso se non conseguo gli obiettivi,” ma la realtà è che domandare aiuto è segno di maturo riconoscimento ed energia. E’anche reale il fatto che spesso non si ha chiaro la funzione dello psicologo. Accade che comunicando con le persone mi senta dire: “anch’io sono un po’ uno psicologo”, questa espressione sottolinea un particolare preconcetto, ovverosia che lo psicologo sia solamente una persona empatica che elargisce suggerimenti. Ma lo psicoterapeuta è formato per anni sullo studio del funzionamento mentale delle dinamiche relazionali ed emotive oltre che sulle tecniche terapeutiche più idonee ad assistere la persona e sciogliere il problema mostrato, sia esso una problematica di coppia, familiare, un lutto o una vera patologia clinica, come un disturbo d’ansia, ad esempio. ConclusioneTutti abbiamo debolezze e compiamo errori, ma quando questo pregiudica la nostra qualità di vita o quella dei nostri familiari, è sciocco non ricercare l’aiuto di chi può farci star meglio. Si tratta solo di individuare di non possedere gli attrezzi adeguati per combattere e chiarire il problema. Afferrare il telefono e comporre il numero che teniamo nella borsa da mesi è il segnale che aspiriamo a cambiare le situazioni, e lo faremo noi, in prima persona, ma con l’appoggio di chi, dopo aver valutato la circostanza e quello che abbiamo fatto fino a quel momento e che non ha agito adeguatamente, apparirà in grado di dotarci di piani nuovi e finalizzati per il problema mostrato. Chi intraprende un percorso di psicoterapia è una persona coraggiosa perché è disponibile a individuare di avere un problema e, a porre a confronto modi di fare o aspetti mentali che gli procurano fastidio. Come per qualunque percorso che presuma una evoluzione, anche la psicoterapia auspica responsabilità e un po’ di sforzo. L’obiettivo è di diminuire il dolore e migliorare nettamente la qualità di vita. Avere degli attimi di paura è usuale, così come commettere degli errori. Si erra spesso: si sbaglia col partner, coi figli, sul lavoro e a volte nel rapporto con se stessi. L’unico vero errore e orrore è indugiare nell’osservare inattivi la nostra sofferenza. Puoi venirmi a trovare a Spazioorbita in Viale Premuda 10, Milano. Contattami via email [email protected] La psicoterapia è fondamentalmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali. Gli effetti della psicoterapia sul cervelloGli psicologi da sempre hanno rinforzato e sostenuto che la psicoterapia non è solo un efficiente processo psicologico, in grado di stimolare importanti mutamenti nella ambito psichico dei soggetti sofferenti da un disturbo, cambiamenti stabili negli aspetti, nelle consuetudini e nel modo di agire conscio e inconscio, ma che lo fa anche generando trasformazione dell’espressione dei geni che creano modificazioni organiche e neurologiche nel cervello e, più accuratamente, delle modifiche nell’attività funzionale di alcune aree del cervello. Le ricerche pilotate con diversi gruppi di pazienti psichiatrici che comprendevano soggetti ammalati da disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo depressivo, hanno usufruito dell’uso delle moderne tecniche di neuroimaging, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fRMI). In concomitanza a questi studi, sono state attivate ugualmente delle ricerche che hanno percorso, invece dei cambiamenti nell’attività funzionale del cervello, i cambiamenti stimolati dalla psicoterapia in alcuni parametri biologici, nei soggetti affetti da uno specifico disturbo psichico. Le conclusioni a cui si è giunti da questi primi risultati, consentono di inoltrarsi in alcune notevoli definizioni teoriche, con la possibilità che più recenti studi convalidino i dati disponibili. Un definente risultato affiorante è che la psicoterapia arreca dei significativi cambiamenti nell’attività funzionale del cervello dei soggetti affetti da disturbi psichici e che queste modificazioni cerebrali si relazionano all’l avanzamento clinico di questi soggetti, per cui solo nei soggetti in cui alla fine di un periodo di trattamento psicoterapeutico si considera una significativa diminuzione dei sintomi clinici è sottolineabile un cambiamento indicativo dell’attività funzionale del cervello. Un secondo risultato è che la psicoterapia stimola un cambiamento nell’attività funzionale di determinate aree cerebrali, ovvero induce un cambiamento nell’attività di quelle aree corticali e sottocorticali il cui andamento anormale rinforza i sintomi clinici che contraddistinguono una specifica patologia psichica. Rewire the brainIn tutte le ricerche in cui si sono confrontate le modifiche neurobiologiche avviate da un trattamento psicologico e quelli generati da una terapia farmacologia è emerso, alla fine, che la psicoterapia e il farmaco sono ambedue efficienti nella cura delle diverse patologie psichiche analizzate, ossia sono tutti e due in grado di indurre un importante miglioramento clinico nei soggetti in trattati e che tali modalità di cura agiscono a livello cerebrale, variando l’attività neuronale delle stesse aree del cervello e, a livello neurobiologico, stimolando un uguale cambiamento di alcuni parametri biologici come determinati fattori neuroendocrini . Questi risultati dilatano l’opportunità di comunicazione tra le neuroscienze e la psicoanalisi: infatti gli studi di imaging sulla psicoterapia, i modelli animali ed umani della relazione tra geni ed ambiente, gli studi genetici sulla personalità e le ricerche sulla memoria, stanno costruendo un percorso ad una nuova cognizione delle caratteristiche biologiche della psicoterapia. Un’ottima interpretazione dell’influenza della psicoanalisi sul cervello viene fornita dal proposito che la pratica psicoterapica non fosse altro che un modo di rewire the brain, ossia di ristrutturare l’assetto delle connessioni: la terapia, dunque, genererebbe un rafforzamento sinaptico nelle connessioni che reggono l’amigdala consolidando così la funzione inibente, di controllo, da parte della corteccia sull’amigdala stessa . Tuttavia, la connessione tra l’amigdala e la neocorteccia non è simmetrica, per cui l’amigdala proietta all’indietro sulla neo-corteccia molto più fortemente di quanto lo faccia la neo-corteccia sull’amigdala. Quindi, la capacità di quest’ultima di controllare la neo-corteccia è migliore rispetto a quella della neo-corteccia su di essa. Ciò potrebbe chiarire anche perché è difficile “spegnere” le emozioni una volta che sono entrate in gioco.
Per di più, poi, le emozioni concedono nel corpo ormoni e altre sostanze a lunga durata, che ricompaiono al cervello e tendono a bloccarlo in quello stato: per questa ragione appare è molto arduo per la neo-corteccia scoprire una via d’accesso all’amigdala e fermarla. Presumibilmente, è per questo motivo che la psicoterapia è una cura e un trattamento, a volte così prolungato e faticoso. La neo-corteccia utilizza canali di comunicazione incompleti per cercare di attribuirsi il controllo dell’amigdala, mentre, al contrario, quest’ultima può controllare con grande semplicità la neo-corteccia, in quanto le è sufficiente accendere una successione di aree cerebrali in modo non particolare. Le esperienze tracciano segni prolungati su di noi, in quanto sono conservate come memorie all’interno dei circuiti sinaptici e, dal momento che la terapia stessa raffigura un’esperienza di conoscenza, essa contiene anche delle modificazioni nelle connessioni sinaptiche. Pertanto, circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono realtà divise, ma due differenti modalità per rappresentare la stessa cosa. La psicoanalisiLa psicoterapia è, dunque, fondamentalmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali: è, in tal senso, che la psicoterapia usa meccanismi biologici per curare i disturbi psichici. La psicoanalisi viene, quindi, ad essere trasformativa, in quanto situazione di apprendimento relazionale. Nelle attuali ricerche si usa il termine ‘psychological freedom’ in relazione al grado in cui l’area corticale può influenzare il cervello affettivo, per il fatto che ci sono alcuni istanti in cui la corteccia agisce in modo importante, arrivando a circoscrivere in modo conveniente l’esperienza affettiva, ed altri all'opposto in cui l’area simbolizzante ha poca libertà nella sua reciprocità con stati affettivi troppo intensi. In questa prospettiva, potremmo quindi considerare l’instabilità affettiva come il risultato di differenze anche costituzionali per quanto riguarda i modi con cui il talamo o la corteccia inducono la processazione emozionale nei confronti dell’amigdala. Solo quando il paziente può disporre di una buona quantità di libertà psicobiologica per conservare uno spazio riflessivo, le interpretazioni del transfert in merito a credenze illogiche o comportamenti auto-distruttivi possono essere efficaci: infatti, una minore libertà biologica di valutare cognitivamente gli eventi, procurando una risposta riflessiva più primitiva, rende quasi superflue queste interpretazioni, dal momento che l’informazione non sarebbe ascoltata o analizzata dal cervello. ConclusioneDi conseguenza, il lavoro terapeutico potrebbe diminuire l’intensità di queste esperienze e rendere possibile una maggiore acquisizione di libertà da parte del cervello corticale nel simbolizzare e influire sulle susseguenti esperienze affettive. Le maggiori trasformazioni che si riscontrano durante un’analisi hanno a che fare non solo con l’introspezione e l’interpretazione della mente conscia, ma anche con l’elaborazione inconscia allacciata alla memoria procedurale e che si sviluppa in momenti particolari e indicativi dell’ incontro tra il terapeuta e il paziente. Il rapporto dialettico tra l’amigdala e la corteccia, nonché il rewiring cerebrale concordano con il modello terapeutico proposto da Solms, che, occupandosi di neurobiologia e psicoanalisi, ha sostenuto che uno degli scopi della neuropsicanalisi è estendere la sfera funzionale di influenza dei lobi prefrontali. Gli studi condotti per controllare empiricamente gli effetti delle diverse forme di psicoterapia attraverso le contemporanee tecniche di imaging funzionale hanno portato a presentare che l’attività funzionale del cervello è di fatto alterata dalla psicoterapia; a dimostrare come i cambiamenti specifici siano correlati con i risultati terapeutici; a identificare nei lobi prefrontali questi cambiamenti intimamente connessi agli esiti terapeutici. Comunque, si conosce ancora poco sui modi attraverso cui la mente si trasforma. E’ questo un elemento che neuroscienze e psicoanalisi, solo cooperando, possono sbrogliare, dal momento che la psicoanalisi evidenzia l’importanza dell’esperienza soggettiva e la forza di una rapporto nella trasformazione di una mente in crescita, mentre le neuroscienze hanno a che fare con dati oggettivi e misurabili ed sviluppano modelli scientifici del meccanismo cerebrale e psichico. Riferimenti Bibliografici
L’anoressia è un disturbo alimentare contraddistinto da una continua paura di ingrassare, persistente restrizione alimentare e un comportamento di controllo ininterrotto nei confronti del cibo. Quali sono I sintomi fisici dell'anoressia nervosa?
Anoressia e le dinamiche genitorialiNaturalmente aderiscono allo sviluppo del disturbo fattori biologici, sociali e psicologici. La letteratura sottolinea che vi è una considerevole differenza di genere per quanto riguarda l’incidenza del disturbo: il 90% di questi casi sono infatti diagnosticati nelle donne. Il funzionamento mentale dell’anoressia è primariamente femminile; tutta la struttura mentale è fondata sul cibo, il corpo, la sessualità e il rapporto madre-figlia/o. Le madri di pazienti con anoressia sono donne la cui femminilità è stata disprezzata, che propongono un modello di identificazione disfunzionale, che può portare le figlie a valersi dell’anoressia come possibilità per eliminare dal proprio corpo segni di femminilità. È fondamentale evidenziare come le ragazze con anoressia sperimentino un vicolo cieco tra il desiderio e il terrore di fusione con la propria madre. La prioritaria fantasia del soggetto anoressico è che, sorvegliando rigorosamente l’introito di cibo diventerà capace di controllare le rappresentazioni interiorizzate dei suoi genitori, nonché la loro relazione. L’elemento spesso presente nelle pazienti con anoressia è il pervasivo desiderio della madre, che si impone e prende possesso del corpo e del desiderio della figlia. Comincia così un conflitto delineato di amore e odio, in cui madre e figlia sono rinchiuse fino a precipitare in a intera fusione. Da queste dinamiche accade che molti genitori, soprattutto le madri, esternano un’ansia dilaniante, con preoccupazioni negative, avversione, rimproveri e un atteggiamento iperprotettivo nei confronti della figlia. Questo comportamento emotivo della madre è stato descritto come un’esasperata manifestazione emotiva, la quale attiva un effetto negativo sulla prognosi dell’anoressia. Per questo motivo, si reputa imprescindibile osservare e analizzare le dinamiche genitoriali, così da coinvolgere i familiari nel trattamento di tali disturbi; quando infatti, alla comparsa del disturbo, si incomincia anche una psicoterapia familiare, il miglioramento è indubbiamente positivo. Tra gli stati emotivi riconosciuti nei familiari di pazienti anoressici, quello più frequente è l’incapacità o l’arresto, ossia il presentimento che qualunque decisione essi possano imboccare genererà pochi risultati sul trattamento. I familiari avvertono la sensazione di essere condizionati e controllati, il che indica le dinamiche alla base dell’anoressia; generalmente sono famiglie fusionali, caratterizzati da un’idea di controllo e dalla fatica di accogliere i normali processi di separazione e indipendenza dei propri figli. La complicanza del controllo raffigura il nucleo della dinamica psicologica in pazienti con anoressia e nelle loro relazioni con la famiglia. La presenza di un disturbo ossessivo-compulsivo è superiore nella famiglia di questa tipologia di pazienti. In aggiunta, il perfezionismo, l’intransigenza e inflessibilità sono tratti di personalità ripetutamente osservati in queste pazienti. Una continua tensione tra impulsi e bisogno di controllarli si esprime in una lotta costante tra madri e figlie. Alcune madri dicono: “Ora, con questa malattia, devo aspettare un po’ prima ‘plasmarle’ nuovamente la testa; dobbiamo essere più intelligenti di loro, altrimenti ci dominano”. Le madri palesano l’urgenza incessante di controllare le loro figlie, ribadendo l’idea che non credono che queste siano in grado di badare a se stesse. Celano la loro individualità, creatività così da porsi come protettrici della quotidianità delle figlie, ciò nonostante, l’imposizione di tale controllo, le rende circoscritte e controllate dalle figlie, attuando un circolo vizioso di sfiducia reciproca e violazione della privacy. Dopo vari tentativi di controllo reciproco, tale “movimento” termina con l’indifferenziazione, e tra madre e figli si stabilisce una perdita dei confini psichici ed emotivi. Ciò che appartiene alla madre e ciò che appartiene alla figlia non sono più distinguibili. E completamente attaccata a me, vive in mia funzione. Le madri ritengono inoltre che, in un certo senso, le loro figlie usano l’anoressia come una strategia per controllare la loro vita e le vite degli altri. E’ possibile pensare che queste madri tendano a sottomettersi alle esigenze delle figlie. Inoltre, esse sono predisposte ad un rapporto sadomasochistico con le loro figlie, quindi sono incapaci di comprendere la sofferenza che sta alla base dei sintomi, così come le loro difficoltà ad essere madri. Le relazioni divengono così permeate dal senso di colpa; le madri mantengono l’illusione del potere e della protezione, senza rendersi conto che esse sono profondamente coinvolte e paralizzate dalla malattia delle loro figlie o, per essere più precisi, dalla malattia che segna il rapporto tra di loro.
La dialettica tra onnipotenza e impotenzaL’impotenza è il sentimento predominante di queste madri, che non riescono, nei loro numerosi tentativi, ad aiutare/controllare le loro figlie; la sensazione di impotenza è accompagnata da intensi sentimenti di colpa, come se fossero responsabili del disturbo delle loro figlie. “Mi sento in colpa perché mi ha fatto la promessa che non avrebbe vomitato più, ma poi ha smesso di mangiare completamente.” L’impasse rivelato nelle parole di questa madre circoscrive chiaramente il gioco stabilitosi tra le due, una situazione di stallo in cui la perpetuazione della malattia è inevitabile. Secondo gli autori, vi è una collusione che non può essere rotta dalla coppia, in quanto legata ad un “patto” il cui finale obiettivo è mantenere la fusione psichica. Vi è inoltre una fantasia onnipotente frequente in queste madri le quali sono convinte che possono cambiare il mondo intorno alle loro figlie. Quando successivamente si rendono conto che non possono cambiare realmente il mondo, sperimentano un forte senso di impotenza, con periodi di intensa angoscia, che a sua volta rafforza il loro bisogno di controllarle. Esse non riescono a capire che è proprio il fatto di essere madri iper-controllanti ad allontanarle dalle figlie. “A volte è tutta sorrisi, poi appena arrivo lei cambia… sono così inquietante?” L’alleanza e la lotta che si è formata tra madre e figlia le esclude dal resto del mondo; in questo scenario il padre è vissuto come un intruso che disturba la fusione madre/figlia. Si è osservato che la madre cerca di allearsi con la figlia contro il padre, sostenendo che madre e figlia hanno bisogno l’una dell’altra, al fine di rendere il padre come non molto comprensivo e quindi da escludere. L’atteggiamento di onnipotenza che mantiene il rapporto fusionale tra la madre e la figlia fa sì che il padre non appaia come una figura importante nella dinamica familiare. Anoressia, culto, passione e inibizioneIl culto che queste madri offrono alle loro figlie cela l’elemento principale di queste relazioni: la distruzione dell’altro come essere, come persona. La figlia sospende di esistere come individuo, è come se venisse demolita. “Faccio tutto per lei, ho dormito con lei nello stesso letto, mi lavo e vado in bagno con lei Inoltre la reazione, pronunciata mediante gli atteggiamenti anoressici, è giustificata dall’invito di distruzione materna all’individualità della figlia. Nonostante ciò, la collusione stabilita è in misura doppia distruttiva, per la madre e per la figlia, e l’esito finale di questo legame di dipendenza e controllo è la scomparsa della loro identità e indipendenza. Si avrà così un prosciugamento dei sentimenti e decadimento delle rappresentazioni interne. La vita di entrambe viene ridotta ad uno stato di tormento e culto che accentra tutte le loro opportunità. Si evidenzia sulla base degli studi, che il trattamento psicoterapeutico delle madri sia indispensabile per il buon risultato del trattamento delle figlie. Si evidenzia come sia fondamentale l’esigenza di scomporre prontamente il centro del controllo vicendevole all’interno della relazione terapeutica. Il controllo andrebbe infatti a regolamentare la relazione tra terapeuta e paziente anoressica, conservando la stessa dinamica, severamente rinforzata in famiglia, il cui maggiore fine è quello di accrescere i sintomi. Si evince che sotto il travestimento di un atteggiamento di devozione appassionata si cela un annientamento psichico dell’altro e questo, in casi estremi, può portare alla morte fisica della paziente con anoressia nervosa. L’assistenza fornita ai pazienti dovrebbe quindi includere sessioni con i membri della famiglia dal momento della diagnosi fino alla fine dell’intervento proposto, con un particolare focus sul rispondere alle richieste dei membri della famiglia, fornire spiegazioni e informazioni di carattere generale sulla malattia, e analisi delle complesse strutture psicologiche sia dei pazienti che dei membri familiari. Solo un team di salute mentale che è addestrato a riconoscere la dinamica emozionale di questo gruppo di pazienti potrà operare efficacemente e promuovere un intervento terapeutico adeguato all’interno di un trattamento multidisciplinare. Bibliografia
Il disturbo da stress post-traumatico è un disturbo psicologico riconosciuto e che affligge sempre più persone nel mondo moderno. Ansia e StressTradizionalmente questo disturbo veniva diagnosticato, come è logico che sia, a soggetti che fuoriuscivano da esperienze particolarmente traumatiche o stressanti. Il caso più esemplare è ovviamente quello dei reduci di guerra, tanto i soldati quanto i civili che si vedevano coinvolti in un campo di battaglia accumulavano una quantità di traumi e di stress psichico tali da condizionare in modo irreversibile il loro reinserimento nella vita civile. Studi di Antropologia della salute hanno però dimostrato un fatto sorprendente, il che ci sarà particolarmente utile per cercare di delineare un quadro della situazione post-pandemia in Italia. È stato infatti rilevato che non soltanto i soggetti diretti di un evento traumatico, ma anche i soggetti indiretti possono presentare sintomi equivalenti a quelli della sindrome da stress post-traumatico (Cozzi, 2013). Ciò si è rivelato particolarmente evidente nel caso dell’11 Settembre, in cui psicologi ed antropologi hanno rilevato che numerosi soggetti che avevano semplicemente assistito alla vicenda in televisione, oppure a distanza, avevano iniziato ad accusare condizioni di ansia stress tali da essere equiparati a quelli vissuti da chi era stato vittima in prima persona, o aveva avuto l’esperienza di un amico o un parente coinvolto nel disastro. Ciò inizialmente suscitò sconcerto, dal momento che non si voleva riconoscere ai “soggetti indiretti” la stessa tutela di chi aveva vissuto il disastro in prima persona. Tuttavia è stato dimostrato che un evento di tale portata, in grado di coinvolgere emotivamente un’intera nazione e smuovere gli animi, può configurarsi come una sorta di “trauma collettivo”. La naturale empatia umana rivolta ai propri simili, tanto più se percepiti socialmente come “prossimi”, porta a questo genere di reazioni e di immedesimazione. Post-pandemia - disagio psicologicoPiù volte, da quando la grave situazione pandemica ha avuto inizio, si paragona nei mass media la lotta al virus ad una vera e propria guerra. Studi economici hanno portato alla luce che la crisi economica scaturita dalla pandemia ha portato la maggior parte della popolazione a vivere condizioni di precarietà analoghi a quelli di una guerra. È stato inoltre rilevato un aumento delle diseguaglianze che ha portato allo sviluppo di sintomi da stress ed ansia sociale (Di Crosta et al., 2020). Tutto ciò non può che tradursi anche in evidenti conseguenze sul piano dell disagio psicologico. La battaglia che stiamo affrontando è percepita da molti come una vera e propria guerra, e la prolungata condizione di precarietà ed instabilità percepita ha portato molti, anche se non direttamente coinvolti (nel senso che non hanno avuto esperienza in prima persona della malattia), a sviluppare proprio i sindromi da stress post-traumatico. La situazione dunque coinvolge tutti, è la “comunità” umana che si stringe attorno ad una generale e diffusa paura e senso di instabilità, ormai priva di certezze e costantemente vessata da clausure forzate, con conseguenti ed ulteriori aggravi sul piano della stabilità mentale che non facilitano. Tutto ciò non è ipotesi, ma già realtà: gli studiosi hanno infatti rilevato nella popolazione italiana, da quando affrontiamo la situazione pandemica, un incremento dei sintomi da stress post-traumatico (Forte et al., 2020). Panorama globale di post-pandemia da CovidIl problema, ovviamente, non riguarda solo l’Italia. La stessa popolazione cinese ha accusato gli stessi sintomi dopo solo un mese di quarantena (Tang et al., 2020) il che ci fa presumere che il disastro, sul piano psicologico e sociologico, fosse tutt’altro che imprevedibile. Ovviamente i problemi non si fermano qui: depressione, ansia e altri sintomi psichiatrici hanno avuto un incremento considerevole nel corso della pandemia (Liu et al., 2020). Naturalmente, tutto ciò era perfettamente prevedibile, e la condizione è un unicum nel panorama globale. Mai, nella storia nota dell’umanità, ci siamo trovati ad affrontare una pandemia mondiale. A fronte delle numerose epidemie, ovviamente riportate nelle memorie dell’umanità, questo è il primo caso di epidemia generalizzata (appunto: pandemia). Vista la condizione eccezionale è pertanto perfettamente normale vivere questa situazione. Ciò che non possiamo permetterci adesso è di arrivare impreparati all’imminente (si spera) fase di riapertura. Come affrontare infatti un mondo da stress post-traumatico che, dopo aver vissuto mesi e mesi di terrore, si prepara a tornare alla “normalità”? Potrà mai esserci una nuova normalità?
Il supporto psicologicoCiò che dobbiamo tenere da conto il più possibile è ovviamente il supporto psicologico. Il mondo post-covid sarà un mondo da stress post-traumatico, pertanto la normalità potrà essere garantita solo a fronte di una condivisa tutela sociale. Ognuno dovrà fare la sua parte: gli psichiatri e psicologi-psicoterapeuti per il supporto individuale e gli scienziati sociali (antropologi e sociologi) per il monitoraggio della situazione generalizzata e prevenzione della salute. Quella dell’ansia post-covid (stress post-traumatico causato dalla situazione pandemica) è una vera e propria pandemia dentro la pandemia: una pandemia psicologica implicata dalle conseguenze della pandemia virale. Studi di antropologia sociale e di global health hanno già avanzato l’inquietante rischio che questa pandemia psicologica si dimostrerà ben più duratura di quella virale, continuando a prolungarsi anche dopo la fine del lockdown. L’aspetto problematico più prevedibile di un auspicabile ritorno alla “normalità” è ovviamente quello che riguarda le “ferite”, non ancora cicatrizzate, che ognuno di noi porta con sé. Questa problematica inizia già a delinearsi negli studi psicologici come “paura del rientro”. Dopo mesi di vera e propria riprogrammazione sociale allo scopo di prevenire i contatti potenzialmente contagiosi, sarà infatti difficilissimo riuscire a rimuovere quegli elementi di allerta che ormai abbiamo automatizzato. La paura del contatto-contagio proseguirà verosimilmente anche dopo le riaperture. ConclusioneLa situazione pandemica ha promosso una società del sospetto e della paura. L’altro è diventato un “nemico” in quanto possibile “untore”, il che ha comportato in molti lo sviluppo di disturbi di socialità e difficoltà relazionali. L’essere umano, in quanto animale sociale, non può però vivere serenamente se privato del suo bisogno essenziale di interazione e scambio emotivo. Pertanto, a fronte della prevedibile ansia sociale che attenderà tutti noi alla riapertura, è necessario un lavoro di supporto psicologico e sociale per recuperare la dimensione dello scambio e dell’interazione che abbiamo perso. Nel rispetto ovviamente delle norme vigenti è necessario combattere affinché non si perda la possibilità di un rapporto diretto tra gli individui, a tutela del loro stesso equilibrio mentale. Per coloro che saranno dunque “bloccati” dall’ansia sociale o da prevedibili prodromi di disturbi antisociali della personalità scaturiti dallo stress post-pandemico, è necessario un supporto psicologico al fine di risolvere questi sintomi in un ritorno sereno alla socialità. Dopo mesi di chiusura in casa si è sviluppata una vera e propria simbiosi con l’ambiente domestico. La “sindrome della capanna”, come viene chiamata da alcuni, è un vero e proprio ritorno al primordiale bisogno di protezione e tutela offerto in questo caso, simbolicamente, dalle mura domestiche. Mentre il mondo esterno continua ad essere percepito come ostile ed avverso, gli italiani rischiano di non trovare le forze per tornare ad una vita serena e normale. La situazione di forzata chiusura ha come conseguenza quella di una indotta sindrome da disturbo antisociale. Il messaggio che è necessario far passare con questo articolo non è dunque quello di semplice attestazione del terrore che si vive, ma bensì un messaggio di speranza: non sei solo. Se sei anche tu tra i tanti italiani che vivono con ansia e profondo turbamento la situazione che ci si prospetta alla riapertura, devi sapere che nulla è irreparabile, e che l’indispensabile dimensione di socialità che ti è stata sottratta da questa pandemia può essere recuperata. Il supporto psicologico è stato in parte sottovalutato nel corso di questa pandemia, ma è giunto il momento che i terapeuti dimostrino l’importanza del loro ruolo. Se anche tu presenti i sintomi da stress post-pandemico non esitare a rivolgerti ad un consulente che possa fornirti in un percorso psicologico il supporto necessario per venirne fuori. Note Bibliografiche
Gli effetti psicologici della pandemia. L’essere umano ha come bisogno primario quello di rapportarsi ad altri, ne ha bisogno come l’aria che respira ed il cibo che mangia. Danni neurologici sui bambini e adolescentiDa ormai un anno a questa parte la psicoterapia sta affrontando una nuova sfida: un aumento vertiginoso di disturbi mentali, disagio e sofferenza psichica, causati dalle conseguenze dell’isolamento e della perdita del contatto umano. Aristotele diceva che l’essere umano è un animale sociale, ma questa popolare espressione spesso non viene riconosciuta come un dato di fatto comprovato anche dalle scienze sociali e psicologiche. L’essere umano ha come bisogno primario quello di rapportarsi ad altri, ne ha bisogno come l’aria che respira ed il cibo che mangia. La privazione delle condizioni in cui i legami sociali possono svilupparsi e fortificarsi coincidono con un aumento di disagi di ordine psicologico non indifferenti. Basta cercare alcune parole chiave sui motori di ricerca dedicati agli articoli scientifici, come “pandemic” e “psychological problems” per rendersi conto di come l’isolamento dell’animale sociale porti a danni talvolta anche irreversibili. E non basta essere nell’era dei social per attutire queste gravi conseguenze. La distanza reale non può essere colmata dai contatti multimediali, i quali possono solo temporaneamente, e per brevi periodi, darci l’illusione di una presenza, la quale è comunque mediata da un muro gigantesco e al tempo stesso sottile come lo schermo di un tablet. Da quando i governi di tutto il mondo hanno dovuto ricorrere ai lockdown per far fronte alla crisi pandemica, gli psicologi e i sociologi hanno dovuto constatare sempre di più come queste drastiche misure abbiano avuto delle conseguenze però ancora più drastiche sulla salute mentale dei singoli. Non c’è da stupirsi, ma al tempo stesso la situazione presente è alquanto delicata, e coinvolte fattori psicologici, sociali e clinici che sono stati a lungo tempo messi in secondo piano. Una psicoterapia consapevole non può ovviamente tirarsi indietro di fronte a queste sfide, e il suo compito è quello di trovarsi preparata alla sfida che la crisi ci impone. Disturbi psicologici nel lockdown Il 10 Marzo del 2020 il governo italiano opta per la drastica decisione che in questi giorni, a distanza di un anno esatto da quegli eventi, sembra riproporsi in forme diverse: una chiusura nazionale. Ancora il panorama scientifico non pullulava di tutti gli studi psicologici, psicoanalitici, antropologici, sociologici e neurologici circa i danni mentali che una simile decisione avrebbe portato, eppure il disastro era prevedibile, bisognava solo essere preparati ad affrontarlo. Ma andiamo con ordine. L’emergenza ha trascinato verso uno strapotere della tecnica, la quale ha imposto le sue decisioni rigide e drastiche, costringendo i governi ad accantonare le esigenze dei singoli, i quali si sono ritrovati soli, chiusi nelle loro quattro mura domestiche, spesso inascoltati nella loro solitudine, mentre il mondo fuori collassava. Molti hanno dovuto assistere passivamente alla perdita del loro lavoro e di ogni certezza, mentre al contempo vivevano una prigionia imposta, magari in convivenza con altre persone altrettanto stressate e disilluse, ma anche chi ha esperito un lockdown solitario ha dovuto fare i conti con molti demoni. Oltre a questo, abbiamo assistito ad una crescente sfiducia sociale, un aumento della paura e delle angosce primordiali dell’umanità che hanno portato ad una società del sospetto e del terrore. Il mondo là fuori è ora percepito da alcuni come il luogo di quei mostri che ci hanno costretto in casa, e se da un lato la casa è divenuta il luogo della sociopatia, in cui soffriamo per la deprivazione e lo sfaldamento dei legami umani, necessità primaria dell’essere umano, dall’altro l’esterno è ancora percepito come quel mondo di minacce in cui il mio prossimo non è più qualcuno da accogliere, ma un potenziale nemico, un untore. In questo contesto, l’aumento di disturbi psicologici nelle condizioni di lockdown a cui abbiamo assistito è stato a dir poco vertiginoso:
Sono soprattutto i giovani a soffrire quella che viene sempre più spesso definita come una “psico-pandemia”, una pandemia parallela a quella virale, causata dalle restrizioni applicate per combattere quest’ultima, ma che appunto portano inevitabilmente a delle conseguenze gravi dal punto di vista della salute mentale.
Le esigenze di serenità mentaleDurante il primo lockdown non sono state tenute in doverosa considerazione le esigenze di serenità mentale, e si è pensato che il sacrificio nazionale di cui veniva chiesto a tutti di farsi carico sarebbe bastato come giustificazione per evitare la catastrofe, ma così non è stato: la deprivazione dei rapporti umani primari, la separazione dagli affetti, l’impossibilità di costruirsene di nuovi, la solitudine imposta, l’isolamento, poter guardare il nostro prossimo solo attraverso uno schermo fino ad abolire ogni contatto umano “in vivo” ha avuto conseguenze devastanti anche a livello neurologico. Secondo Rosanna Chifari Negri, neurologa autrice di oltre 70 lavori scientifici, alcuni danni sono irreversibili: disturbi dell’umore (tra cui un aumento della depressione), ansia, disturbi comportamentali, aumento delle dipendenze da alcol e abuso da sostanze stupefacenti, disturbi alimentari. Altrettanto gravi sono i disturbi cognitivi. Se da un lato la DAD ha consentito la prosecuzione delle attività didattiche nelle scuole, dall’altro non ha potuto far altro che diminuire drasticamente le capacità cognitive dei giovani studenti, che non traggono giovamento dalla modalità telematica per le giovani menti, come dimostra ad esempio lo studio di Eleonora Fiorenzato sui “Cognitive and mental health changes and their vulnerability factors related to COVID-19 lockdown in Italy”. ConclusioneIn questo contesto, la psicoterapia può fare ben poco, ma deve fare comunque molto, perché nella condizione in cui anche il supporto psicologico viene relegato ad una distanza, e separato da uno schermo, ciò che banalmente possiamo chiamare setting, ossia tutto quel contesto attorno ad un ambiente sicuro in cui avviene lo scambio tra paziente e terapeuta, viene enormemente danneggiato. Il setting “telematico” ovviamente non è abbastanza, anche se abbiamo dovuto farcelo bastare. Tuttavia, quel che bisogna tenere presente in questa circostanza è una lezione che non abbiamo ancora imparato: quanto è importante la salute mentale, e quanto il supporto psicologico sia diventato fondamentale, sebbene forse ancora troppo svalutato nella società contemporanea. La stessa salute mentale non può essere svalutata o relegata alle funzionalità tecniche di un’app. Cosa ne pensate? Alcune letture
Uno degli aspetti più peculiari di questa condizione [narcisismo] è senza dubbio la capacità di manipolazione psicologica che il/la narcisista può esercitare sui soggetti da lui/lei circuiti. Egocentrismo e MegalomaniaCome potrete leggere nella sezione del mio sito dedicata al Narcisismo, uno degli aspetti più peculiari di questa condizione è senza dubbio la capacità di manipolazione psicologica che il/la narcisista può esercitare sui soggetti da lui/lei circuiti. Solitamente l’aspetto primario che viene evidenziato nel narcisismo patologico non è tanto quello della manipolazione, a volte del tutto dimenticato, ma quello dell’egocentrismo e della megalomania che effettivamente alcuni narcisisti presentano a causa della introversione autistica che presentano circa la considerazione di sé, riflesso della vera origine del problema: il disturbo relazionale che gli impedisce di accettare la dimensione dell’altro. Il mito di NarcisoTradizionalmente l’uso del termine narcisismo adottato da Näcke, Rank e Freud, fa riferimento al mito di narciso narrato da Ovidio, in cui, come è noto, il giovane narciso si lascia morire di disperazione perché riconosce che l’unica “persona” di cui brama l’amore è in realtà il suo stesso riflesso specchiato nell’acqua. Questo mito può suggerirci numerose riflessioni psicanalitiche, in particolare se facciamo riferimento a Lacan, che ha dedicato la maggior parte dei suoi studi proprio ad analizzare lo stato dello specchio nel processo formativo psicologico, ma anche e soprattutto l’idea di scissione interna a cui lo specchio rimanda. In questo senso, l’io come immagine speculare di sé, dunque immagine irreale, copia “specchiata” (si sa che l’immagine specchiata non è nemmeno geometricamente identica all’originale in quanto non sovrapponibile) è una mera illusione, che porta Narciso alla follia. Ma le riflessioni lacaniane che possiamo fare non si fermano solo a questo mito. Il mito di Narciso infatti deriva da una più antica versione greca, in cui il nostro protagonista, di immensa bellezza, vive circondato da numerosi spasimanti, da lui costantemente respinti per arroganza. Il giovane Aminia era talmente innamorato di lui da accettare qualsiasi cosa pur di dimostrargli questo amore, e Narciso gli chiese di uccidersi come prova. Aminia lo fece proprio di fronte alla casa di Narciso, pregando gli dèi affinché lo vendicassero, ed infatti Narciso, preso dai sensi di colpa, usò la stessa spada per suicidarsi. Si dice che dal sangue versato da Narciso nacque anche per la prima volta l’omonimo fiore, il cui nome già dovrebbe farci riflettere, essendo connesso alla radice del verbo narkáō, che significa “stordire”. Il giovane Aminia è stata, mitologicamente, la prima vittima dell’archetipo del narcisismo, ma chi è veramente Aminia? Una lettura lacaniana che potremmo fare di questo mito ci dice che Aminia è l’altro-da-sé, il sé del protagonista narcisistico però, è un sé autistico, autocentrato, che in quanto tale rifiuta la crisi rappresentata dall’intromissione della dimensione dell’altro, rifiuta quel rapporto di amore che, come scrive Recalcati, si fonda proprio sulla confusione del medesimo nell’altro e dell’altro nel medesimo. Due individui che diventano un solo individuo ma, nel fare ciò, perdono la loro identità per abbracciarne una nuova, più ampia. Già Sabina Špil’rejn si era resa famosa nel circolo freudiano per aver proposto la teoria dell’amore come “morte”. La morte di cui parla Špil’rejn è infatti una morte dell’io dei due amanti, che collassano l’uno nell’altro, però è anche una morte necessaria, perché porta alla nascita di qualcosa di nuovo.
Chi è il narcisista?In questo senso, chi è il narcisista? È colui che non può accettare la perdita del proprio io, perché teme questa morte apparente. Il narcisista è stato portato a vivere una dimensione di sospetto e scetticismo nei confronti dell’altro, non accetta l’altro nella sua vita ma anzi lo teme. Per questo motivo tenta di completarsi in solitudine, aggrappandosi ad un’immagine fittizia di sé, costruita attraverso la scissione del proprio io in un io-speculare. Il narcisista è qualcuno che crede di bastare a sé stesso e che per questo rifiuta ogni rapporto con l’altro. Ma ciò lo rende anche un soggetto potenzialmente pericoloso. A molti di noi può essere capitato di interfacciarci più volte nel corso delle nostre vite con soggetti narcisisti, e la mia esperienza come terapeuta mi ha insegnato che molto spesso le vittime di un narcisista sono inconsapevoli. Anche il narcisista è in qualche modo vittima di sé stesso, in quanto auto-condannato alla solitudine dalla sua condizione. Questa realtà non va dunque vista come una condizione da stigmatizzare o da evitare. Il problema del narcisismo va affrontato proprio permettendo al narcisista di recuperare quella dimensione di affetto reale che non ha mai esperito, e di cui ha una grande paura. La mia via terapeutica punta proprio a recuperare questa consapevolezza. Ma che dire invece di coloro che sono intrappolate in una relazione narcisistica? Queste vittime spesso sono personalità fragili, molto emotive, con una grande empatia ed una grande generosità, che sentono di avere molto da donare al prossimo, ma al tempo stesso non hanno la forza mentale tale da riconoscere quando questi loro doni non vengono realmente apprezzati, ma usati solamente per portare avanti una condizione patologica di cui il narcisista in qualche modo si nutre. Il narcisista infatti, pur credendo di poter fare a meno delle altre persone, in realtà ne ha bisogno, ma non volendo ammettere questa sua umana necessità preferisce trattare le persone come oggetti, servirsene dunque per soddisfare i suoi bisogni primari, evitando invece tutto ciò che riguarda la costruzione di un legame umano saldo e stabile che implichi lo scambio di emozioni, che il narcisista teme. Non a caso, Alexander Lowen ha definito il narcisismo come “negazione del vero sé”. Questo implica che il soggetto narcisista è in realtà una personalità incredibilmente cinica, astuta e con enormi doti manipolative. Conosce molto bene la psicologia umana, e si serve di queste sue doti non per aiutare il prossimo, ma per vincolarlo in un rapporto fatto di sensi di colpa, bisogni morbosi e legami patologicamente saldati. Il narcisista si nutre dell’altra persona, ma non dà sé stesso in cambio. La sua soggettività viene nascosta, segregata in un angolo dell’inconscio di cui nemmeno il narcisista stesso ha l’accesso. Tutto ciò che rimane al di fuori è invece una personalità costruita e strutturata in modo tale da risultare bisognosa, con costante necessità di attenzione, capace di piegare le emozioni dell’altro a suo uso e consumo. La “vittima” del narcisista potrebbe sentirsi costantemente in colpa, inadeguata, incapace di ricevere amore, e questo avviene proprio perché a fronte di un costante donare richiesto dal narcisista tutto questo non viene ricambiato. ConclusioneSe sei vittima di un narcisista o senti che i tuoi atteggiamenti sfruttano le altre persone e vuoi uscire da questa condizione ti offro una alleanza terapeutica attraverso un percorso di analisi e crescita personale. Ciò che valorizzo di più nelle mie sedute è sempre la soggettività dell’altra persona, portare alla luce ciò che è stato soffocato da traumi, modelli educativi errati e difficoltà sociali. Nessuno è vincolato alla propria condizione né è condannato a soffrire. Alcune letture sul narcisismo manipolativo
Il “revenge porn” o “pornografia non consensuale” sta diventando un problema sempre più diffuso nel mondo moderno a causa dei disagi psicologici che provoca nelle vittime. (Foto: cyberbullying.org) Revenge porn, cos'è ?Per coloro che non fossero al corrente del tipo di fenomeno di cui si sta parlando è in realtà abbastanza semplice fornire una spiegazione: La diffusione non consensuale di pornografia (o “revenge porn”) consiste nella diffusione di materiale pornografico di un ex-partner per vendetta. Il fenomeno potrebbe sembrare eccezionale, eppure sono sempre di più i pazienti che, a causa dei suoi danni, lamentano di esserne stati vittime. In ogni genere di coppia e da parte di ogni genere di partner è possibile ravvisare casi di questa iniziativa nefasta. Non è infrequente nel mondo moderno che nelle coppie ci si scambi materiale pornografico digitale. È una pratica che in sé non ha nulla di sbagliato e fa parte delle possibilità del gioco erotico. Chiaramente essa ha un certo valore solo in quanto entrambe le parti sono consensuali nello scambio. Già nel caso in cui una delle parti venisse costretta alla produzione ed invio di un simile materiale si parlerebbe di un abuso, ma questo è un caso ancora diverso. Nel revenge porn sembra essere la vendetta la causa scatenante della diffusione di materiale dell’ex-partner. Una simile diffusione di materiale privato rientra naturalmente nella fattispecie di un atto illecito anche in termini legali, ed in questo senso punibile, ma a noi interessa analizzare i danni che un simile gesto provoca nelle vittime in termini psicologici.
Anche quando la giustizia faccia il suo corso infatti, ciò non basta alla vittima che ha subito un abuso di questo genere per riprendersi dalle possibili ferite psicologiche, anche gravi, che una simile esperienza provoca. Revenge porn e salute mentaleMa si può parlare veramente di “abuso” in termini psicologici? Sono ormai numerosi gli studi accademici nel settore della psicologia clinica che documentano come le vittime del revenge porn presentino nella loro condizione di disagio psichico dei sintomi perfettamente analoghi a quelli delle vittime di un abuso sessuale (si vedano ad esempio gli articoli di Asia Eaton: “The psychology of nonconsensual porn” e Samantha Bates: “Revenge porn and mental health”). La vittima è in questo senso violata comunque nel suo fisico, attraverso la diffusione della sua immagine. In certi termini si potrebbe parlare di abuso dell’immagine (a tal proposito si veda l’articolo di Clare McGlynn: “Beyond Revenge porn”), la quale, in quanto specchio di noi stessi, è comunque qualcosa che parla di noi, ci “denuncia”, ci scopre agli altri. Nel mondo esterno possiamo scegliere se mostrare la nostra intimità, svelarla all’altro solo quando ritenuto meritevole, ed in questo senso l’intimità diventa qualcosa da “donare”, che ha valore proprio perché di solito non visibile, riservato a pochi. Quando noi perdiamo il controllo di questa immagine intima, ed essa è alla mercé di un abusatore, ecco che la diffusione di questa intimità senza il nostro consenso equivale ad essere denudati in pubblica piazza, mostrati nella nostra forma più intima e privata, guardati e “toccati” da chiunque, e questo senza preavviso, senza consenso. L’effetto che è stato documentato in questi casi è certamente devastante, e per questo paragonabile alle violenze sessuali. Nel mondo moderno poi, con la velocità di diffusione di contenuti tramite internet, tale violazione è ancora più capillare: chiunque può scaricare e conservare questi contenuti, e le vittime sentono che ormai la loro intimità è violata, persa, nelle mani di centinaia di persone che ora la “possiedono”, la possono conservare sul cellulare o sul computer e farne ciò che vogliono, senza che in tutto questo nessuno abbia mai chiesto alla vittima che cosa si prova ad essere privati così della propria sfera privata. Vi sono inoltre casi documentati in cui addirittura la vittima è screditata nella sua stessa sofferenza, accusata di una drammaticità ingiustificata nel mondo moderno, in cui l’oggettificazione e la mercificazione del corpo e dell’intimità, in una sorta di diffusa pornografia, viene vista come un dato di fatto dal quale non ci si può tirare indietro. Spesso dunque, anche nei casi di revenge porn con vittime LGBT, accade che queste siano screditate ed accusate di soffrire di una condizione che non è poi così drammatica (vedi ad esempio la tesi di Christine Serpe: “The Objectification and Blame of Revenge porn Victims”). Tutto questo ovviamente agisce come un ulteriore peso per le vittime più fragili che invece vanno rispettate per il loro desiderio di preservare la dimensione dell’intimità. ConclusioneOltre dunque ad un necessario e parallelo percorso che adisce le vie legali per perseguire l’artefice dell’abuso, la psicoterapia può aiutare le vittime di questo fenomeno nell’affrontare questa terribile condizione. Gli strumenti a disposizione della psicoterapia sono gli stessi utilizzati nel sostegno delle vittime di abusi sessuali. Oltre a questo, possiamo appoggiarci agli studi che ci permettono di andare più a fondo nella sofferenza delle vittime di questi abusi e supportarle al massimo nel loro percorso di recupero. L’obiettivo è anche quello di fortificare la loro autostima e consapevolezza di sé, affinché l’accettazione del trauma divenga un punto di partenza per sviluppare maggiore forza interiore tale da combattere i mostri che un simile abuso genera. Bibliografia usata
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La problematica dei “money slave” è stata solo recentemente riconosciuta nel panorama della psicoterapia contemporanea come parafilia. Studi psicologici e sociologici hanno riscontrato questa peculiare forma di sessualità feticistica che consiste in un rapporto di dominanza incentrato sul denaro. (Foto: Emily Assiran/New York Observer) 'Financial Domination' in cosa consiste effettivamente?Non si tratta di una semplice perversione per i soldi, come il nome potrebbe suggerire, ed infatti si preferisce utilizzare anche la definizione “financial domination”, più precisa. Ma in cosa consiste effettivamente? Nel rapporto di financial domination troviamo un dominatore che è oggetto delle cure economiche del dominato. In sostanza il soggetto sottomesso alla dominazione “finanziaria” prova piacere nell’elargire costantemente doni o denari al suo padrone. La problematica è stata analogamente riscontrata tanto in situazioni di subordinazione maschile che femminile, e dunque il dominatore può essere un uomo o una donna. Sebbene si tratti di una problematica riconosciuta solo di recente sono già presenti alcune opinioni e studi al riguardo, e c’è anche chi non ha esitato a paragonare questa condizione ad una forma di prostituzione. Il problema però è molto complesso e non può essere ricondotto soltanto al fenomeno della prostituzione, una problematica a sua volta che però presenta ragioni di ordine sociale diverso. Nella condizione del Money Slave assistiamo effettivamente ad una “pervesione” feticistica. Nel senso psicoanalitico, la “perversione” non fa necessariamente riferimento ad una condizione di malattia, ma la sessualità per-vertita (che prende un verso inconsueto rispetto a ciò che ci si aspetterebbe) può effettivamente degenerare in condizioni psicopatologiche. Ad oggi il rapporto tra salute e malattia è fortemente messo in discussione e si sta riconoscendo la condizione arbitraria delle definizioni patologiche, ma ciò non toglie che nel percorso terapeutico è considerabile come patologica qualsiasi condizione disagevole, che porta cioè il soggetto a vivere uno stato di sofferenza interiore oppure di disagio “costruito” se tale sofferenza è in qualche modo non percepita perché “ambita”, resa condizione “desiderabile” dai meccanismi autodistruttivi della patologia. |