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Quando la psicoterapia cambia il cervello

12/5/2021

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La psicoterapia è fondamentalmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali.
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Gli effetti della psicoterapia sul cervello

Gli psicologi da sempre hanno rinforzato e sostenuto che la psicoterapia non è solo un efficiente processo psicologico, in grado di stimolare importanti mutamenti nella ambito psichico dei soggetti sofferenti da un disturbo, cambiamenti stabili negli aspetti, nelle consuetudini e nel modo di agire conscio e inconscio, ma che lo fa anche generando trasformazione dell’espressione dei geni che creano modificazioni organiche e  neurologiche nel cervello e, più accuratamente, delle modifiche nell’attività funzionale di alcune aree del cervello.

​Le ricerche pilotate con diversi gruppi di pazienti psichiatrici che comprendevano soggetti ammalati da disturbo ossessivo-compulsivo o disturbo depressivo, hanno usufruito dell’uso delle moderne tecniche di neuroimaging, come la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale (fRMI).

In concomitanza a questi studi, sono state attivate ugualmente delle ricerche che hanno percorso, invece dei cambiamenti nell’attività funzionale del cervello, i cambiamenti stimolati dalla psicoterapia in alcuni parametri biologici, nei soggetti affetti da uno specifico disturbo psichico.

Le conclusioni a cui si è giunti da questi primi risultati, consentono di inoltrarsi in alcune notevoli definizioni teoriche, con la possibilità che più recenti studi convalidino i dati disponibili.

Un definente risultato affiorante è che la psicoterapia arreca dei significativi cambiamenti nell’attività funzionale del cervello dei soggetti affetti da disturbi psichici e che queste modificazioni cerebrali si relazionano all’l avanzamento clinico di questi soggetti, per cui solo nei soggetti in cui alla fine di un periodo di trattamento psicoterapeutico si considera una significativa diminuzione dei sintomi clinici è sottolineabile un cambiamento indicativo dell’attività funzionale del cervello.

Un secondo risultato è che la psicoterapia stimola un cambiamento nell’attività funzionale di determinate aree cerebrali, ovvero induce un cambiamento nell’attività di quelle aree corticali e sottocorticali il cui andamento anormale rinforza i sintomi clinici che contraddistinguono una specifica patologia psichica.

Rewire the brain

In tutte le ricerche in cui si sono confrontate le modifiche neurobiologiche avviate da un trattamento psicologico e quelli generati da una terapia farmacologia è emerso, alla fine, che la psicoterapia e il farmaco sono ambedue efficienti nella cura delle diverse patologie psichiche analizzate, ossia sono tutti e due in grado di indurre un importante miglioramento clinico nei soggetti in trattati e che tali modalità di cura agiscono a livello cerebrale, variando l’attività neuronale delle stesse aree del cervello e, a livello neurobiologico, stimolando un uguale cambiamento di alcuni parametri biologici come determinati fattori neuroendocrini .

Questi risultati dilatano l’opportunità di comunicazione tra le neuroscienze e la psicoanalisi: infatti gli studi di imaging sulla psicoterapia, i modelli animali ed umani della relazione tra geni ed ambiente, gli studi genetici sulla personalità e le ricerche sulla memoria, stanno costruendo un percorso ad una nuova cognizione delle caratteristiche biologiche della psicoterapia.

Un’ottima interpretazione dell’influenza della psicoanalisi sul cervello viene fornita dal proposito che la pratica psicoterapica non fosse altro che un modo di rewire the brain, ossia di ristrutturare l’assetto delle connessioni: la terapia, dunque, genererebbe un rafforzamento sinaptico nelle connessioni che reggono l’amigdala consolidando così la funzione inibente, di controllo, da parte della corteccia sull’amigdala stessa .

​Tuttavia, la connessione tra l’amigdala e la neocorteccia non è simmetrica, per cui l’amigdala proietta all’indietro sulla neo-corteccia molto più fortemente di quanto lo faccia la neo-corteccia sull’amigdala.

Quindi, la capacità di quest’ultima di controllare la neo-corteccia è migliore rispetto a quella della neo-corteccia su di essa.

​Ciò potrebbe chiarire anche perché è difficile “spegnere” le emozioni una volta che sono entrate in gioco.
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Per di più, poi, le emozioni concedono nel corpo ormoni e altre sostanze a lunga durata, che ricompaiono al cervello e tendono a bloccarlo in quello stato: per questa ragione appare è molto arduo per la neo-corteccia scoprire una via d’accesso all’amigdala e fermarla.

Presumibilmente, è per questo motivo che la psicoterapia è una cura e un trattamento, a volte così prolungato e faticoso.

La neo-corteccia utilizza canali di comunicazione incompleti per cercare di attribuirsi il controllo dell’amigdala, mentre, al contrario, quest’ultima può controllare con grande semplicità la neo-corteccia, in quanto le è sufficiente accendere una successione di aree cerebrali in modo non particolare.

Le esperienze tracciano segni prolungati su di noi, in quanto sono conservate come memorie all’interno dei circuiti sinaptici e, dal momento che la terapia stessa raffigura un’esperienza di conoscenza, essa contiene anche delle modificazioni nelle connessioni sinaptiche.

Pertanto, circuiti cerebrali ed esperienze psicologiche non sono realtà divise, ma due differenti modalità per rappresentare la stessa cosa.

La psicoanalisi 

La psicoterapia è, dunque, fondamentalmente un processo di apprendimento per i suoi pazienti e come tale un modo di cambiare l’assetto delle connessioni cerebrali: è, in tal senso, che la psicoterapia usa meccanismi biologici per curare i disturbi psichici.

La psicoanalisi viene, quindi, ad essere trasformativa, in quanto situazione di apprendimento relazionale.

Nelle attuali ricerche si usa il termine ‘psychological freedom’ in relazione al grado in cui l’area corticale può influenzare il cervello affettivo, per il fatto che ci sono alcuni istanti in cui la corteccia agisce in modo importante, arrivando a circoscrivere in modo conveniente l’esperienza affettiva, ed altri all'opposto in cui l’area simbolizzante ha poca libertà nella sua reciprocità con stati affettivi troppo intensi.

In questa prospettiva, potremmo quindi considerare l’instabilità affettiva come il risultato di differenze anche costituzionali per quanto riguarda i modi con cui il talamo o la corteccia inducono la processazione emozionale nei confronti dell’amigdala.

​Solo quando il paziente può disporre di una buona quantità di libertà psicobiologica per conservare uno spazio riflessivo, le interpretazioni del transfert in merito a credenze illogiche o comportamenti auto-distruttivi possono essere efficaci: infatti, una minore libertà biologica di valutare cognitivamente gli eventi, procurando una risposta riflessiva più primitiva, rende quasi superflue queste interpretazioni, dal momento che l’informazione non sarebbe ascoltata o analizzata dal cervello.

Conclusione

Di conseguenza, il lavoro terapeutico potrebbe diminuire l’intensità di queste esperienze e rendere possibile una maggiore acquisizione di libertà da parte del cervello corticale nel simbolizzare e influire sulle susseguenti esperienze affettive.

Le maggiori trasformazioni che si riscontrano durante un’analisi hanno a che fare non solo con l’introspezione e l’interpretazione della mente  conscia, ma anche con l’elaborazione inconscia allacciata alla memoria procedurale e che si sviluppa in momenti particolari e indicativi dell’ incontro tra il terapeuta e il paziente.

Il rapporto dialettico tra l’amigdala e la corteccia, nonché il rewiring cerebrale concordano con il modello terapeutico proposto da Solms, che, occupandosi di neurobiologia e psicoanalisi, ha sostenuto che uno degli scopi della neuropsicanalisi è estendere la sfera funzionale di influenza dei lobi prefrontali.

Gli studi condotti per controllare empiricamente gli effetti delle diverse forme di psicoterapia attraverso le contemporanee tecniche di imaging funzionale hanno portato a presentare che l’attività funzionale del cervello è di fatto alterata dalla psicoterapia; a dimostrare come i cambiamenti specifici siano correlati con i risultati terapeutici; a identificare nei lobi prefrontali questi cambiamenti intimamente connessi agli esiti terapeutici.

​Comunque, si conosce ancora poco sui modi attraverso cui la mente si trasforma. E’ questo un elemento che neuroscienze e psicoanalisi, solo cooperando, possono sbrogliare, dal momento che la psicoanalisi evidenzia l’importanza dell’esperienza soggettiva e la forza di una rapporto nella trasformazione di una mente in crescita, mentre le neuroscienze hanno a che fare con dati oggettivi e misurabili ed sviluppano modelli scientifici del meccanismo cerebrale e psichico.

Riferimenti Bibliografici

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